sabato 25 luglio 2009

Il favoloso mondo di Jean-Pierre Jeunet

Straordinariamente sopra le righe per il suo stile colorato e vivido il regista francese è famoso ai più grazie al successo planetario di Il favoloso mondo di Amelie (2001), storia di una ragazza “speciale” (Audrey Tatou è magica) che nel giorno della morte di Lady Diana ritrova un vecchio cofanetto, zeppo di ricordi, nascosto da un bambino 30 anni prima. Alla ricerca del bambino, ormai adulto, si veste di una missione quasi gesuitica: occuparsi della felicità altrui. Parte di una galleria di personaggi realisticamente assurdi (un venditore imbranato, un pittore dalle ossa di cristallo, una donna con la sindrome di Munchausen, uno scrittore fallito e tanti altri) Amelie Poulain per regalare (anche con escamotage fittizi) gioie a chi la circonda mette in disparte la propria felicità, accorgendosene soltanto quando il suo cuore comincia a battere per uno strano ragazzo “speciale” (con la fissazione delle fototessere) quanto lei. Il film è un pout-pourri di soluzioni visive dove la vita è una drammatica favola in bianco e nero, i pesciolini soffrono di stress, i nani viaggiano per il mondo ed i suppellettili si improvvisano consiglieri. Jean-Pierre Jeunet è un genio nel rendere incantevole anche le piccole cose, restituendo una dimensione visiva a quelle fantasie che albeggiano in ognuno di noi (la scena in cui Amelie si rivede in televisione come missionaria infelice è stupenda) evitando eccessi nello stucchevole. Le musiche di Yann Tiersen accompagnano in modo egregio le vicissitudini della protagonista. Da sottolineare l’iniziale formula del “A me piace…a me non piace”, modello adoperato dal cineasta già nel precedente corto Foutaises interpretato dall’attore unico Dominique Pinon, presente tra l’altro in tutti i film di Jeunet. Da ripescare assolutamente Delicatessen (1990) e La città perduta (1995) diretti con Marc Caro in cui il clima non è affatto fatato e regna un cinismo ombrato di fondo dove ad emergere è il dark side insito in tutti i personaggi, anche i bambini. Anche nelle suddette opere le trovate sono infinite e sembrano ripescate da un qualsivoglia libro di Daniel Pennac (infatti il mio sogno più recondito è una collaborazione tra i due). Jeunet ha inoltre diretto Alien – La clonazione (1997) terzo capitolo della saga conservando il registro stilistico ed inalberandosi in una lettura bio(gen)etica della clonazione. Ultima fatica del regista in ordine di tempo, Una lunga domenica di passioni (2004) giova di mezzi economici esorbitanti dovuti agli introiti di Il favoloso mondo di Amelie. Risulta un po’ appesantito dalla durata ma chi cerca il solito Jeunet si ritrova appagato. Tirando le somme Jeunet dimostra le capacità del cinema francese ed involontariamente denota le carenze di quello italiano, dedito esclusivamente al dramma familiare ed al bypassabile cinepanettone. La mentalità transalpina è avanti anni luce e ciò è confermato anche dal boom del genere horror grazie ai vari Xavier Gens e Alexandre Aja. E’ ora per l’Italia di svegliarsi sulla scia dei cugini d’Oltralpe, abbiamo bisogno di sognare e terrorizzarci quanto loro. Forse siamo i veri re del melò inter-nos ma ci manca una visione a 360° del cinema. La colpa non è senza dubbio dei registi ma di tutte le istituzioni che snobbano il reale valore della settima arte, parlando di crisi e di risparmio e penalizzando consapevolmente il cinema.

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