lunedì 12 ottobre 2009
Unbreakable (M. Night Shyamalan, 2000)
A poche settimane dall’assorbimento della Marvel per conto della Walt Disney è quanto mai sensato parlare di fumetti. Le due grandi “case” concorrenti sono note ai più: la Dc Comics (Batman) e appunto la Marvel (Superman, Spiderman, X-Men, ecc.). Il nuovo millennio ha partorito una miriade di film sul genere(prequel, sequel, spin-off), e in cantiere ne risultano altrettanti, cavalcando la recente brama generazionale in cerca di eroi; alcuni hanno colto il bersaglio (gli ultimi Batman di Christopher Nolan e i primi due capitoli X-Men), altri hanno toppato alla grande (Daredevil, The Spirit, Catwoman, Superman returns) e in mezzo ci sono quei film come Spiderman che a parer mio si travestono abilmente da capolavori quali non sono. Tra l’accozzaglia pochi hanno mostrato cosa si nasconda dietro un eroe, chi o cosa lo renda tale. La propria genesi non può limitarsi a una puntura d’insetto o una mutazione radioattiva. Batman begins ne è stata la conferma; chi era Bruce Wayne prima di diventare l’uomo pipistrello? Ma l’opera che più di tutte ha saputo raccontare la genesi di un superuomo, paradossalmente, non è tratta da alcun fumetto; Unbreakable, a un anno di distanza dall’incredibile e meritato successo di The Sixth Sense, narra le gesta di David Dunn (Bruce Willis), addetto alla sicurezza allo stadio di Filadelfia, che risulta essere l’unico superstite di un tragico disastro ferroviario. Impossibile capire come sia possibile che sulla sua pelle non ci sia alcun graffio. In suo “soccorso” arriverà un ambiguo collezionista di fumetti, Elijah Price (Samuel L. Jackson), un uomo fisicamente fragile a causa di una rara malattia, e per l’appunto considerato “dalle ossa di cristallo”. I loro destini si incroceranno indissolubilmente a svelare la natura etica e il significato ultimo dei due outcast. M. Night Shyamalan, non a caso tra i miei registi preferiti, ha una dote banale ma essenziale: scavare tra le pieghe dell’animo umano senza mai adoperare soluzioni facili, anche il silenzio diviene veicolo di narrazione ultraterrena. Il colpo di scena finale (marchio di fabbrica) è stupendo. Unbreakable è stato ampiamente sottovalutato e paga quello scetticismo che dagli esordi aleggia nei confronti del cineasta indiano, tramutatosi ingiustamente in indifferenza dopo The Village, Signs e Lady in the water e commutato in esiguo rispetto dopo il recente E venne il giorno. M. Night Shyamalan a causa del suo cinema dai temi estremi non ha mezze misure: o lo si odia o lo si ama. Io consiglio a tutti di ripescare Unbreakable almeno per trovare una nuova chiave di lettura su un genere che ultimamente sembra stia sfornando un “attacco dei cloni” con tanti fumettoni che si passano il testimone in un eterno e sbiadito refrain. Voto: 9.
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