sabato 26 giugno 2010

Black Sheep (Jonathan King, 2006)



Cast: Matthew Chamberlain, Nathan Meister, Peter Feeney
Genere: Commedia Horror
Durata: 87’
Produzione: Nuova Zelanda

Finché gli agnelli diventeranno leoni”. Basterebbe l’epigrafe del Principe dei ladri a riassumere il plot di questo curioso filmetto giunto dalla terra tutta haka e All Blacks; Henry, giovanotto scioccato in tenera età dalle pecore, torna alla fattoria di casa per liberarsi della sua fetta di proprietà. Tra le lande desolate c’è l’immondo fratello, sfegatato zoofilo e creatore di un intruglio chimico capace di trasformare docili pecorelle in feroci cannibali. Non mancano un paio di ambientalisti spiantati, un campagnolo zoccolato, un’anziana regina dei fornelli e svariati medici dal destino segnato. E non manca lo splatter, tanto caro al più celebre regista neozelandese contemporaneo, Peter Jackson, che con Bad taste (esordio del 1987) sembra aver fatto scuola; molteplici momenti di cattivo gusto e invidiabile cura del make-up (alcuni smembramenti sanno di Tom Savini) segnano il tracciato più breve verso la follia assoluta. A trionfare è la demenza che tra le sottili maglie del non sense spara a zero sul sistema evidenziando le contraddizioni di qualsivoglia ceto sociale (che siano politici o ambientalisti). A far sorridere sono le trasparenti citazioni cinefile; la trasformazione dell’uomo in pecora è un divertentissimo omaggio alle realistiche metamorfosi di Un lupo mannaro americano a Londra (John Landis, 1981) e de L’ululato (Joe Dante, 1981), e l’idea che l’essere umano possa assumere le sembianze non di un predatore ma dell’anello debole dell’intera catena alimentare è semplicemente geniale. Un crossover Wolfman vs Sheepman? Perché no! Voto – 6.5

sabato 19 giugno 2010

Il grande sogno (Michele Placido, 2009)



Cast: Luca Argentero, Jasmine Trinca, Riccardo Scamarcio, Massimo Popolizio, Laura Morante, Silvio Orlando
Genere: Drammatico
Durata: 94’
Produzione: Italia/Francia
Musiche: Nicola Piovani

Michele Placido ha realizzato il suo grande sogno: raccontare quel fervore sessantottino, vissuto personalmente dall’attore/cineasta tra le file della Celere, riesumato dai nostri padri nel tentativo di sentirsi fighi e evocato da noi giovani illusi di poter spaccare il mondo, ribaltare il sistema, defenestrare i gerarchi. Ma il ’68 è durato meno di un anno; il tempo di inneggiare al “Vietnam libero”, occupare La Sapienza di Roma e battersi il petto consci della merda che ai piani alti riempie la testa di chi muove i fili. Libero (Luca Argentero) è il primo cantore di questa utopia, incantevole masaniello universitario accompagnato dalla trasognante Laura (Jasmine Trinca), asfissiata da una famiglia convenzionale eppur così “passionale”. Nicola (Riccardo Scamarcio) è il terzo incomodo: sogna il cinema ma nel frattempo è un celerino infiltrato trai banchi universitari dove si busca una cotta tremenda per l’ingenua Laura. Nel frattempo i sogni si infrangono sotto i dritti manganelli dello Stato, pronto come un condor nel reprimere qualsiasi barlume rivoluzionario. E purtroppo ad infrangersi sugli scogli della noia è anche il film di Placido (già autore dello straordinario Romanzo Criminale) che dopo 45 minuti di cinema esemplare (fatto davvero con il cuore e sorretto da momenti atipici per il cinema made in Italy) spegne il fuoco che dentro gli arde dedicandosi morbosamente al trittico amoroso e abbandonando il contesto ancora in fermento. Un accantonamento che tradisce la Storia, e pugnala noi spettatori convinti, boccaloni, illusi che questo sia proprio un film sul ’68, che per un volta a trionfare non sia l’amore per una donna ma quello per un’ideologia, un “credo”, un’etica. Un’illusione, proprio come il ’68. Voto – 6.

Prestazioni
Luca Argentero: sobilla le maestranze sfruttando la sua faccia d’angelo. Probabilmente vittima del montaggio post-produzione compare (e questo è molto strano) sporadicamente come un vigile in una giornata di traffico. Voto – 6.5.

Jasmine Trinca: dolce quanto una meringa catalizza le attenzioni dei due belli di turno. E’ un’attrice di profonda bravura; sedotta, illusa, devastata prima dal Freddo in Romanzo Criminale poi dall’infiltrato Scamarcio. Sorte infame eppure è sempre lì pronta a rialzarsi. Voto – 7.5

Riccardo Scamarcio: la bellezza risiede nello sguardo. L’attore pugliese la sa lunga e sembra come al solito limitarsi al compitino. Qui è comunque oltre la sufficienza grazie a un ruolo impregnato di una bonacciona giovinezza, ma in un film “di pancia” dove le vene pulsano visibilmente vedere un ragazzo che non si sbraccia più di tanto è un crimine di guerra. Immaginate Elio Germano al suo posto. Voto – 6+.

Massimo Popolizio: simbolo di una famiglia ricca di principi preconfezionati, convinta di correre sul binario giusto ciononostante destinata a deragliare sul più innocuo sassolino. Semplicemente magnifico (e lo era già stato nel ruolo di Er Terribile in Romanzo Criminale). Voto – 9.

mercoledì 2 giugno 2010

The House of the Devil (Ti West, 2009)




Genere: Horror
Durata: 90’
Prod: Usa

Ancora Ti West e ancora ottimo cinema. Dai corridoi infetti di Cabin Fever 2 al vuoto pneumatico di una bella villetta il passo è breve. Samantha è una giovane e timida fanciulla a caccia di un lavoro remunerativo che le possa far racimolare un tot di soldi per fine mese; l’occasione giunge puntuale affissa alla bacheca universitaria. Cercasi babysitter. Lei accetta senza esitazioni. L’uomo deciso a offrirle l’incarico è però un misterioso vecchietto che non tarda a rivelare la reale entità di tale temporaneo impiego: Samantha infatti non si occuperà di un piccolo frugoletto bensì di una anziana signora relegata in una delle svariate stanze collocate al secondo piano. Lauta ricompensa e tempo esiguo; appena 4 ore. Chi non accetterebbe? Samantha dopo aver salutato i gentilissimi signori Ulman si piazza sul divano con l’unico intento di bivaccare per l’intera serata attendendo, come il resto del mondo, l’eclisse lunare che avrà il suo compimento allo scoccar della mezzanotte. Una seratina niente male. Peccato che i proprietari di codesta casa (supportati da un essere immondo e un similboscaoiolo bifolco) siano dei matti satanisti pronti a fecondare la donna nel nome del diavolo! Ti West la sa lunga perché tiene alto il ritmo senza fare praticamente una mazza; adotta il postulato sul quale si fonda l’intero cinema horror ovvero costruire la suspense nascondendo più che mostrando. L’angoscia si cela tra gli anfratti di un luogo familiare, oltre quella porta chiusa a chiave, dietro una tenda merlettata; la teoria dello sfrondamento presente anche nel piccolo capolavoro qual è Them. The House of the Devil con un po’ di fantasia è una sorta di prequel dell’intera saga di Omen che ci spinge a supporre che in quel pancino sciorinato nel finale possa esserci proprio il malefico Damien, il nuovo Anticristo. Voto – 7.