Cast: Lior Ashkenaz, Danny Geva, Ania Bukstein, Menashe Noy, Ran Danker
Durata: 91’
Genere: Horror
Paese: Israele
Voto: 7
Quattro spiantati tennisti, diretti ad una partita tra amici, smarriscono la retta via all’interno di una riserva per volpi; come se non bastasse investono un uomo, malridotto già di suo, che sostiene di essere alla ricerca della fidanzata, reclusa da uno sociopatico vestito da meccanico. La tesi si mostra alquanto veritiera perché il millantato killer esiste, tanto da essersi repentinamente guadagnato le attenzioni belligeranti di un cacciatore con cane-lupo a seguito. Nel frattempo irrompono in scena 2 poliziotti, l’uno perverso molestatore l’altro inebetito da un rapporto sentimentale unilaterale, che contribuiscono nel far degenerare la situazione. Insomma è abbastanza complicato riassumere la trama, e non è un caso perché proprio su tale punto verte il progetto della coppia di registi. L’idea è quella di affrontare lo slasher movie abbandonando i soliti cliché da manuale, e per farlo Keshales e Papushado mettono sul piatto un’inarrestabile sequela di avvenimenti nefasti (molti del tutto casuali). Il risultato è un gustoso sovraccarico di passaggi narrativi scandagliati per alimentare la tensione (trappole per orsi, campi minati) o per tracciare un profilo emozionale (amicizie tradite, traumi infantili), con il fine ultimo di alimentare e giustificare la rabbia (dilagante) del titolo. Il vero colpo di genio è lo snaturamento del ruolo del killer che in qualsivoglia slasher fa da cardine al plot mentre qui veste i panni di un tassello del mosaico, tanto da scomparire quasi subito (riapparendo nel finale) per far spazio alla follia dei restanti coprotagonisti, tutti personaggi inizialmente con le rotelle a posto ma ben predisposti ad esplodere dinanzi al primo scossone psicologico. I registi israeliani centrano quindi il bersaglio, anche se è doveroso sottolineare la presenza di dialoghi inverosimili (vedi il finale: è mai possibile che una pallina di tennis possa ridurti in quello stato??) e una chiusura che nella sua straniante passività vorrebbe sembrare molto cool, senza esserlo neanche un po’. Ma ad avercene di film così, pronti a riallacciare quel rapporto col genere slasher oramai alla deriva, che per anni mi han fatto additare Jason come la causa di tutti i mali. Voto: 7.
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