Cast: Daniel Radcliff, Ciaran Hinds, Janet McTeer, Liz Bianca)
Genere: Horror
Durata: 91’
Paese: Gb
Voto: 5.5
Tratto dall’omonimo romanzo di Susan Hill (pubblicato nel 1983), The Woman in black narra le vicissitudini del fanciullesco avvocato Arthur Kipps chiamato nel paesino di Eel Marsh per occuparsi di una fatiscente dimora appartenuta alla signora Drablow, scomparsa misteriosamente anni addietro, il cui fantasma, secondo gli abitanti del villaggio, è reo d’aver causato la morte di innocenti bambini. Per comprendere tout court la validità di un’operazione stantia già nelle premesse bisognerebbe aver letto il libro in quanto il film per 80 minuti abbondanti è l’abbecedario dell’immaginario gotico, cinematografico e letterario, per poi scegliere un finale da definire atipico se fedele al suo originale cartaceo, e da bollare come “debitore di un certo cinema orientale” se stravolto in fase di sceneggiatura. Come sottolineato il plot pullula di luoghi comuni vintage; c’è il locandiere scorbutico, l’ostruzionismo dei nativi, l’irruzione improvvisa di un corvo, la nebbiolina sulfurea e la classica sedia che dondola sospinta da chissà quale forza esoterica (insomma la targhetta Hammer Film Productions non è lì per caso). A volte i topoi del genere seppur scontati hanno un loro vincente ritorno se a “fronteggiarli” vi si piazza un personaggio di prepotente caratura emotiva. Purtroppo non è codesto il caso in questione, perché se da un lato la scelta di assoldare Daniel Radcliff risulta coraggiosa, dall’altro ti scappa un gridolino isterico se dopo 5 minuti lo vedi prima sulla stazione e poi in treno; mancano soltanto Ron ed Hermione e poi tutti in carrozza direzione Hogwarts. Al di là del ruolo da eterno Harry Potter che rischia di stroncargli la carriera il giovane attore inglese non sembra un fenomeno capace d’andare oltre una faccetta cianotica ed una chioma perennemente in ordine. Come Clint Eastwood anch’egli sembra portar in faretra soltanto due espressioni: una con la bacchetta e una senza. Insomma il compitino di Witkins scatena una buona dose di sbadigli (apparirebbe superato anche se proiettato negli anni ’40) eppure quel finale buttato così qualche brivido lo crea; ma c’è da capire se è un onesta dichiarazione d’amore (paterno) o il consueto stratagemma del ventunesimo secolo. Voto: 5.5.
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