lunedì 29 marzo 2010
Alza la testa (Alessandro Angelini, 2009)
Cast: Sergio Castellitto, Gabriele Campanelli, Anita Kravos, Giorgio Colangeli
Genere: Drammatico
Durata: 88’
Esistono lungometraggi che potrebbero essere idealmente divisi tra primo e secondo tempo dando vita a due film diversi. Esempio: se su Artificial Intelligence fossero scorsi i titoli di testa dopo 1 ora e 20, sino allo straziante (!!) abbandono del bambino giocattolo nelle lande desolate, oggi staremmo parlando del più grande capolavoro del XXI° secolo. Invece al tempo Spielberg scelse strade ben più temerarie alla ricerca della fata turchina e della dimensione uman(istic)a del proprio Pinocchio navigando tra parchi avveniristici e cimiteri tecnologici. Lo stesso discorso vale per Alza la testa. Mi ripeto e ripropongo l’ipotesi; se i primi 40 minuti fossero stati dilaniati e protratti alla durata di 90 minuti la seconda opera di Angelini (dopo il bel L’aria salata) sarebbe uno dei migliori film italiani e non del 2009. Perchè? Perché la storia parte nel migliore dei modi; Mero è un ex pugile che scarica sul figlio la responsabilità di riuscire lì dove lui ha fallito, nel mondo plumbeo della boxe. E pur di riuscire nell’intento lo allena, lo accompagna ovunque, lo coccola, lo assilla arrivando a intromettersi anche in questioni sentimentali. Poi a seguito di un litigio col padre, causato proprio dall’ultimo dei suddetti motivi, il talentuoso ragazzo muore cadendo dal motorino. E qui il film si schianta con altrettanta imprudenza. Angelini si tuffa in concetti pericolosi quali trapianti d’organi, immigrazione, eutanasia, transessualità e lo fa con singolare monotonia naufragando nel finale con una scena straniante e fuori luogo. Peccato…!! Castellitto in stato di grazia, bravo nel mostrarci la sottile linea rossa che separa l’inconfutabile Amore Paterno dalle squallide Ambizioni di eguale matrice. Dove finisce l’amore disinteressato e dove inizia la proiezione dell’Ego? Basta affollare un qualsiasi campetto la domenica mattina e vedere gli occhi indemoniati dei genitori a bordo campo infidi nell’improvvisarsi padri-allenatori, gridando, sbraitando, insultando i propri figli e scaricando su di essi frustrazioni e fallimenti patiti in gioventù. Voto – 6.
mercoledì 24 marzo 2010
2012 (Ronald Emmerich, 2009)
Cast: John Cusack, Woody Harrelson, Chiwetel Ejiofor, Amanda Peet, Thandie Newton, Danny Glover
Genere: Catastrofico
Durata: 158’
2 ore e mezza sono eccessive anche per un film di tale “stazza”; soprattutto se ti diverti a riproporre la stessa scena in un noioso refrain. Ci sono ben 4 fuggifuggi fotocopia concentrati nello spazio di un’ora, e in tutti fa da protagonista il volto simpatico e fraterno di John Cusack: a bordo di auto, camper e aerei tra palazzi caracollanti e falle chilometriche. La si scampa da copione per un pelo e a morire sono come al solito i cattivi di turno, grassi, sciatti e troppo arrivisti per escogitare un ponderato piano di fuga. Accantonate in fretta e furia interessanti spiegazioni attinenti al calendario Maya, superate da una teoria sul riscaldamento globale interno, Emmerich si concentra sul lato catastrofico del genere. E nonostante il succoso budget da piluccare avidamente non c’è una sola scena che abbia il potere di stupire. Le eruzioni vulcaniche risultano posticce, gli tsunami appaiono qui e lì come foto scattate di sfuggita (c’è la classica nave in mezzo all’oceano in stile Poseidon) e il crollo di Piazza San Pietro è goffo come un pugile in una balera romagnola. Stranamente il film funziona meglio nella seconda parte dove la salvezza è a portata di mano dei potenti che tentano d’imbarcarsi su arche mastodontiche costruite da stacanovisti cinesi per pochi facoltosi adepti. Da questo punto si susseguono strani riferimenti al Titanic; la calca all’ingresso, lo scontro con una piattaforma di ghiaccio e uno dei protagonisti intento nel sottolineare che le stanze possano ospitare molte più persone del previsto (tipo le scialuppe?). Nel marasma generale tutti i paesi sono chiamati all’appello. E l’Italia che figura ci fa? Beh noi siamo quelli patetici che si riuniscono in preghiera ad ascoltare il Papa mentre la Cappella Sistina ci cade addosso. Voto – 5.
lunedì 22 marzo 2010
Dark City (Alex Proyas, 1997)
Cast: Rufus Sewell, William Hurt, Kiefer Sutherland, Jennifer Connelly
Genere: “Futuristico”
Durata: 100’
Una metropoli oscura in stile Gotham City è sotto il dominio subliminale di una razza di alieni dalla testa ovoidale. Essi, detti Stranieri, allo scoccare della mezzanotte prima modellano tramite poteri soprannaturali la struttura di ogni singola abitazione poi ritoccano le memorie degli esseri umani alterandone i ricordi e di conseguenza l’identità, al fine di capire cosa ci celi alla base dei sentimenti. John Murdoch, accusato dell’omicidio di una prostituta, resiste al trattamento e in balia dei suoi confusi dejà-vu tenta di far luce sul “sistema”. Proyas (Il corvo), ispirandosi palesemente a un romanzo del sempiterno Philip K. Dick (Tempo fuori luogo), sciorina inquietanti dubbi sul concetto di identità visto come null’altro che la somma dei nostri ricordi; lo fa adottando una cifra stilistica intrigante ma forse eccesiva nelle fasi finale quando si lascia andare a un turbinio visivo alla Constantine. Il film sceneggiato da Dobbs, Goyer e lo stesso Proyas anticipa di un anno, nella costruzione di una città artificiale, il tema portante di The Truman Show; lì Jim Carrey cercava disperatamente di viaggiare oltre il suo minimondo, qui Murdoch si domanda cosa ci sia al di là di Shell Beach. Bellissima come sempre Jennifer Connelly e per una volta Kiefer Sutherland sufficiente. Rufus Sewell (The Illusionist) resta invece un attore fortemente sottovalutato nonostante uno sguardo magnetico che dà egregiamente vita agli enigmi di chi è alla vana ricerca di sé stesso. Da vedere. Voto – 7.
giovedì 11 marzo 2010
Polvere (Danilo Proietti e Massimiliano D’Epiro, 2008)
Cast: Primo Reggiani, Gaia Bermani, Gianmarco Tognazzi, Amaral Michele Alhaique
Genere: PopDrammatico
Durata: 90’
Polvere, striscia, pista, come volete chiamarla? Cocaina. A Roma si pippa senza soluzione di continuità, dallo spacciatore al riccone, fino a sfondarsi il cervello e a sommergere i sogni sotto una montagna di coca. Nel frattempo s’ammazza e si tradisce a suon di pop in una giungla di innocenze infrante e morti viventi dove anche la vile ingenuità del fuso Giona soccombe al re dei vizi. E a farne le spese come da copione sono i “principianti”, i neofiti. L’opera prima dell’accoppiata Proietti-D’Epiro, tratta da un libro edito per la casa editrice Albatros-Il Filo, è a metà tra un mockumentary sociale (il personaggio di Primo Reggiani raccoglie interviste e considerazioni nel campo della movida notturna) e un canovaccio standard di Guy Ritchie; le trovate visive non mancano, come i fumetti d’intramezzo all’inizio, e il montaggio “cocainomane” a cui siamo ormai abituati aiuta comunque a restituirci la dimensione sballata del mondo degli assuefatti. Lavoro egregio e volutamente sopra le righe (ci vuole in un panorama cinematografico troppo dipendente dal dramma familiare) supportato da un cast particolare: Gianmarco Tognazzi, Francesco Venditti, Lola Ponce e Rita Rusic. Dal primo all’ultimo out of control. Voto – 7.
domenica 7 marzo 2010
Frankenstein di Mary Shelley (Kenneth Branagh, 1994)
Cast: Kenneth Branagh, Robert De Niro, Ian Holm, Helena Bonam Carter, Aidan Quinn
Genere: Horror + o –
Durata: 123’
Che Kenneth Branagh abbia un ottimo feeling con Shakespeare non è una diceria e gli ottimi Hamlet e Enrico V confermano l’assioma. Ma il discorso è ben diverso quando il regista si cimenta con altri autori. Coprodotto non a caso da Francis Ford Coppola, il Frankenstein di Branagh è fedelissimo al testo di Mary Shelley ma nulla più. Operazione pomposa e “teatrale” alla stregua del Dracula coppoliano (notare come entrambi i film abbiano il nome dell’autore nel titolo – un tocco snob), vive dell’interpretazione incontenibile di un Robert De Niro surclassato da badilate di trucco e silicone. La regia è virtuosamente artificiale e Branagh, sin troppo impegnato a mostrare gli addominali in ogni scena, abbandona immediatamente una sceneggiatura già di per sé sgangherata e insensibile alla natura freak del più famoso dei morti viventi che, come se non bastasse, è noiosamente logorroico. Accorgimenti pacchiani e momenti grandguignol si susseguono all’impazzata; tanto casino e tanti sbadigli compressi in due ore da incubo, dove anche lo spettatore più paziente spera che quella creatura immonda crepi al più presto. Voto - 4
Genere: Horror + o –
Durata: 123’
Che Kenneth Branagh abbia un ottimo feeling con Shakespeare non è una diceria e gli ottimi Hamlet e Enrico V confermano l’assioma. Ma il discorso è ben diverso quando il regista si cimenta con altri autori. Coprodotto non a caso da Francis Ford Coppola, il Frankenstein di Branagh è fedelissimo al testo di Mary Shelley ma nulla più. Operazione pomposa e “teatrale” alla stregua del Dracula coppoliano (notare come entrambi i film abbiano il nome dell’autore nel titolo – un tocco snob), vive dell’interpretazione incontenibile di un Robert De Niro surclassato da badilate di trucco e silicone. La regia è virtuosamente artificiale e Branagh, sin troppo impegnato a mostrare gli addominali in ogni scena, abbandona immediatamente una sceneggiatura già di per sé sgangherata e insensibile alla natura freak del più famoso dei morti viventi che, come se non bastasse, è noiosamente logorroico. Accorgimenti pacchiani e momenti grandguignol si susseguono all’impazzata; tanto casino e tanti sbadigli compressi in due ore da incubo, dove anche lo spettatore più paziente spera che quella creatura immonda crepi al più presto. Voto - 4
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giovedì 4 marzo 2010
Edges of Darkness (Blaine Caide, 2008)
Cast: Annemarie Pazmino, Shamika Ann Franklyn, Alonzo F. Jones
Genere: Horror….
Durata: 100’
In un futuro non lontano la terra è presidiata dagli zombi, flagello divino nel nome della purificazione totale. Uno scrittorucolo barricato in casa e attaccato al suo pc, col quale istaura un legame morboso di cronenberghiana memoria, narra due storielle anch’esse con da sfondo il tema dei “living dead”: nella prima una ragazza tappezzata alla Tomb Raider salva un bambino ignorando che esso possa essere l’Anticristo, nella seconda una coppietta a corto di cibo si nutre di sangue umano ma l’ultima ragazza-pietanza rapita si rivela più “ribelle” del previsto. Altro che B-Movie; qui navighiamo tra le pagine ultime dell’alfabeto cinematografico. Horror da 4 soldi (N.B.: non nell’accezione economica del termine) imbastito su inquadrature grossolane, alcune proprie del cinema hardcore, e dialoghi abominevoli. Eppur qualcuno, tra i quali il sottoscritto, non è del tutto immune al fascino del casereccio. E’ il film che tutti gli aspiranti cineamatori vorrebbero girare nel cortile di casa con zombi che bussano alla porta e/o ammazzano il giardiniere. In questo caso esiste anche una parvenza di budget, probabilmente volatilizzatosi dopo la prima scena nella quale sono stati spesi un bel po’ di soldini per ottimi trucchi e smembramenti splatter. Le sottotrame sono assurdamente innovative per i canoni del genere e tra esse si respira aria di crossover tra morti viventi e missionari pentecostali. Da vedere col sorriso stampato sulle labbra e con quel pizzico di invidia che si prova per un amico che realizza i “tuoi” sogni. Voto: PCV - Per Cinefili Veri.
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