venerdì 11 febbraio 2011
La nostra vita (Daniele Lucchetti, 2010)
Cast: Elio Germano, Isabella Ragonese, Luca Zingaretti, Raoul Bova, Stefania Montorsi
Genere: Drammatico/Patetico
Durata: 95’
Paese: Italia/Francia
Voto: 5
Basterebbe la presenza ingombrante di Vasco dai primi minuti a sintetizzare l’essenza di un film che definire sopravvalutato sarebbe un enorme complimento. Tutto inizia tra le squallide impalcature di un cantiere romano dove il capomastro Claudio (Elio Germano) va barcamenandosi pur di portare avanti quella baracca che i dizionari di lingua italiana chiamano famiglia - una moglie incinta e due figli – e lo fa zittendo i propri principi etici che fanno capolino quando scopre il corpo di un guardiano rumeno, schiantatosi da altezza siderale e poi seppellito alla carlona. Denunciare o tacere?? La seconda perché se no addio lavori e sogni di gloria. Ma il destino beffardo ci mette lo zampino e l’improvvisa dipartita in sala parto della moglie (Isabella Ragonese) trasforma prima Claudio in un padre disposto a tutto pur di vedere i propri figli sorridere e poi il dissotterramento del rumeno in un’infida arma d’estorsione con la quale tenere il proprio datore di lavoro per le palle (reo di non aver denunciato la morte del guardiano), al fine di farsi consegnare il subappalto di una palazzina. Il ricatto va in porto eppure il contante scarseggia. No problem; ci pensa uno spacciatore disabile (Luca Zingaretti in una performance odiosa) che presta 50000 euro al nostro Claudio senza batter ciglio e soprattutto consapevole del pestaggio che gli costerà tale “versamento” (perché anche gli spacciatori hanno un cuore). Ovviamente i soldi non torneranno mai nelle tasche del Montalbano capellone e non entreranno neanche in quelle degli operai del cantiere che saranno fregati più volte dalle becere macchinazioni di Claudio, oramai inghiottito dai manti del lato oscuro. E no!! Un attimo. Questo tizio è tanto spietato che a confronto Tony Montana è il Mahatma Gandhi. Sarebbe troppo facile e insolito disegnare il ritratto di un uomo (italiano) così viscido senza piazzare una contropartita morale. Ed eccola arrivare nelle vesti di Andrei, un bamboccione di due metri, il cui padre GUARDACASO è proprio quel rumeno morto sciaguratamente e la cui madre GUARDACASO andrà a far compagnia al fratello sfigato di Claudio, ovvero un Raoul Bova nel suo primo ruolo da incapace con le donne dai tempi di Alien Vs Predator. E per una sceneggiatura che pratica l’espiazione tramite il denaro, Andrei risulterà l’unico degli operai ad esser onestamente pagato. Ora è inutile dirvi come va a finire sta’ manfrina perché tanto è sempre la famiglia a toglierti dai casini: “I tacchi sono un po’ come i parenti; sono scomodi ma aiutano” dice un’intrigante Stefania Montorsi. Ed è inutile dirvi che Anima Fragile di Vasco sarà come il prezzemolino, lì a rompere i coglioni anche al funerale della moglie quando Claudio la canterà a squarciagola ricordando al sottoscritto come sia possibile tanto odio nei riguardi di quel lercio “ruttAutore”. E invece mi vien da dire “meno male che c’è Elio Germano” attualmente il miglior attore italiano, regista di sé stesso (per fortuna) e vivo come nessun altro. Non è un caso il premio come miglior attore vinto a Cannes ex aequo con Javier Bardem, peccato sia giunto grazie a questo film. Alla faccia mia. Voto: 5.
sabato 5 febbraio 2011
Le cocenti delusioni del 2010
Robin Hood: tutti, dagli addetti ai lavori ai semplici spettatori, attendevano un clone de “Il Gladiatore”. I primi a mo’ di critica, i secondi con una speranza di bis nel cuore. Invece Robin Hood ha deluso entrambi. Come è possibile? Chiedetelo a Ridley Scott. Per una settimana il vero principe dei ladri è stato il cassiere del cinema.
L’ultimo dominatore dell’aria: qui Shyamalan è effettivamente indifendibile. Sarà che i suoi precedenti capolavori mi hanno ben viziato, ma l’unica domanda che riesco a porre ora è Perché???
Io, loro e Lara: qualcuno fermi Verdone. Non basta abbozzare una simpatica sceneggiatura per battere i proseliti di De Laurentiis. I suoi ultimi personaggi sono banali macchiette che al termine di un percorso per nulla veritiero hanno anche il coraggio di sfoggiare una morale.
Alice in Wonderland: i fan di Tim Burton amerebbero i suoi film anche se fossero incentrati sulle gesta di un caterpillar in calore. Chi ama il cinema tout court si è rotto invece le palle di vedere Johnny Depp ridotto a un ammasso di smorfiette e sorrisoni stranianti.
Shutter Island: al di là di una performance stratosferica del maturo Di Caprio resta un film scritto a tavolino. Scorsese riduce l’horror a un artificioso meccanismo piazzando l’oramai logoro colpo di scena ribaltatore, ma l’invenzione figlia del “sesto senso” ha fatto già il suo tempo.
Somewhere (Sofia Coppola, 2010)
Cast: Stephen Dorff, Elle Fanning
Genere: Commedia
Durata: 97’
Paese: Usa
Voto: 7
Il cinema di Sofia Coppola lo si ama o lo si odia. I suoi film, senza una trama classica, ma ricchi di silenzi, sguardi, particolari, da anni fanno letteralmente scervellare i critici del globo cinematografico. Somewhere è l’ultima delle tappe di un astratto ma autobiografico percorso iniziato con Lost in Translation (escluderei Il giardino delle vergini suicide) e rincarato dal pop frivolo di Maria Antonietta. Ora sta a noi spettatori capire, percepire il senso di un modus operandi apparentemente vacuo che esclude a priori intrecci o colpi di scena, scegliendo di immergerci a fari spenti in un rapporto padre - figlia scandito da piccole intese e gesti delicati (mangiare il gelato sul letto o giocare insieme alla Wii) con una piccola intrusione nel nostro amato Stivale dove l’apparizione di Joker/Simona Ventura sottolinea quanto alla Coppola piaccia parlare della vita mondana di chi nei soldi ci sguazza con conseguente disorientamento morale (e ogni sua opera lo conferma). Al posto di Stephen Dorff potrebbe esserci stato chiunque perché la performance di un attore che interpreta sé stesso conta poco mentre una domanda nasce spontanea alla vista della piccola Elle Fanning (sorella di Dakota!!): come cazzo si fa a essere così bravi a quell’età?? E’ un film dove accade ben poco ma che non annoia, bensì approfitta del nulla per far riflettere. Un paradosso dettato da una furba trovata o dal desiderio di raccontare l’essere umano fuorviando il frastuono del cinema moderno? Ecco un’altra bella domanda. Voto: 7.
Da vedere con Stephen Dorff: Cuba Libre – La notte del giudizio (1993), Blade (1998), Nemico Pubblico (2009)
Da vedere con Elle Fanning: Babel (2006)
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