domenica 18 marzo 2012
The Dead (Ford Brothers, 2010)
Cast: Rob Freeman, Principe David Osei
Genere: Horror
Durata: 104’
Paese: GB
Voto: 8
Quando l’horror zombesco migra in Africa regna sempre il timore di doversi sorbire tediosi approfondimenti sulle vere origini dei cosiddetti morti viventi (radici da trovare nello specifico ai Caraibi), tra riti attorno al fuoco e macumbe allucinate dettati da uno stregone fuligginoso. Che The Dead sia ben altro lo si capisce sin dal prologo, eroico nelle sue venature western, dove un uomo silenzioso “sfida” uno zombie dinoccolato. Il tutto tra le dune del deserto. Incipit niente male. Ok ora arriveranno le famose divagazioni sugli usi e costumi locali, penserete. E invece no; siamo sì in un villaggio, ma nel bel mezzo di un attacco, una vera e propria carneficina con decine e decine di zombi a dividersi un lauto banchetto. Ci è andata bene ma ora devono per forza di cose arrivare le celebri divagazioni attorno al falò, o almeno un discorsetto con un tizio che sottolinea quanto sia pericoloso per un occidentale addentrarsi nei meandri del voodoo. No, semplicemente no. Nella terza scena siamo su una spiaggia africana dove un ingegnere militare americano, miracolosamente scampato ad un disastro aereo, prova ad aprire una cassa contenente armi e viveri mentre svariati living dead sbranano il suo collega. 15 minuti adrenalinici che da soli valgono più di due stagioni di The Walking Dead. Il resto del film è un affascinante viaggio al fianco dei due alleati per caso (l’ingegnere militare di cui sopra e un soldato del posto) alla ricerca della salvezza, e dei propri cari (metaforicamente e non), dove il ritmo compassato non risulta mai noioso ma anzi in linea con quel passo lento e angosciante che soltanto gli zombi romeriani sanno trasmettere. I due registi conoscono a menadito la lezione del regista di Pittsburgh; basta notarlo nei tanti omaggi, ma soprattutto in quel voltarsi sornione degli zombi al rumore di uno sparo in lontananza. Da pelle d’oca semplicemente per un rimando sottile agli aficionados del genere. Eppure non c’è mai sensazione di già visto o tentata scopiazzatura. Sebbene si possano tirare in ballo i vari Lucio Fulci e Vincent Dawn/Bruno Mattei, The Dead conserva un suo ammaliante canovaccio supportato dalla più suggestiva e potente delle scenografie: la natura, a dimostrare che con fotografia ed inventiva non tutti abbiamo bisogno di un Dante Ferretti nello zaino. Epilogo portatore di speranza, anticipato da un momento quasi fumettistico che mi ha fatto temere il peggio. Voto: 8.
sabato 10 marzo 2012
Delirio di sangue (Sergio Bergonzelli, 1988)
Cast: John Philip Law, Gordon Mitchell, Brigitte Christensen, Olivia Link
Durata: 88’
Genere: Trash Pseudo Horror
Paese: Italia
Voto: 5
Ce l’ha messa tutta Sergio Bergonzelli per sfornare una mostruosità del genere ed accaparrarsi il titolo di leader maximo del trash tricolore. Apprezziamo lo sforzo ma Blood Delirium resta distante anni luce dai monumentali Il Bosco 1, La croce delle sette pietre e Paganini Horror. Eppure gli ingredienti per far bene sussistono. Analizziamoli partendo da quelli pro-trash. Trama: dopo la morte della moglie Christine, pianista “leggermente” ossessionata dal Delirium di Brahms, il pittore Saint Simon, definito nonsisaperchè l’erede ideale di Van Gogh, entra in uno stato confusionale che soltanto l’arrivo della dolce e masochista Sibille (guarda caso identica alla moglie, guarda caso pianista e guarda caso fissata per il Delirium) potrà spezzare. La giovane fanciulla senza pensarci più di tanto abbandona il pleonastico fidanzato per trasferirsi nella dimora del sofferente pittore che, nel frattempo, tentando di aiutare il depravato servitore Hermann nell’occultamento di un cadavere scopre il colore perfetto, ovviamente quello del sangue. Finale salvifico con visioni mistiche e consigli dallo spazio infinito. Sceneggiatura sostanzialmente delirante non soltanto nel titolo. Cast: nonostante John Philip Law si sforzi nel trasmetterci la follia del pittore maledetto che dipinge sferzando l’aere con tartaree pennellate, risultando detentore di un’incisività fisiognomica pari a quella dell’uomo di Cro-Magnon, c’è però chi riesce, come Gordon Mitchell, a fare di meglio (o peggio?). Sono suoi tutti i momenti trashissimi del film. Al di là degli 820 primi piani buttati qui e lì come messaggi subliminali (data la marmorea espressività potrebbe benissimo essere un refrain dello stesso ciak) regna il sospetto che il cachet di Mitchell sia da valutare in libido, in quanto trascorre il 90% del film palpeggiando tette o divaricando gambe, diciamo molestando delle donne in generale, vive o morte esse siano. Il restante 10% è un digrignar di denti, come ai bei tempi di Aborym. Erotismo(??): se la valuta horror scarseggia vistosamente Bergonzelli sembra aver trovato la sua raison d’etre nel pecoreccio più grossolano. Verrebbe da dire “il nudo abbonda sulla bocca di Mitchell” perché qui in quanto a zizza-time ce n’è per tutti i gusti, dai seni floridi a quelli burrosi passando per il celeberrimo pelo pubico. Elementi pedissequamente manipolati e sballottati dal Charlton Heston dei poveri. Elementi Contro-trash. Sangue: in un trash non può mancare l’effetto splatter, soprattutto se allestito con quattro soldi. Almeno uno di questi deve timbrare il cartellino: una testa di cartapesta con etichetta che esplode senza motivo (Il bosco 1), qualche atto di cannibalismo (Virus, e non fa niente che le scene erano rubate da un altro film) e una pietanza disgustosa a scelta (Troll 2). Nel Delirio di Bergonzelli di emoglobina non vi è alcuna traccia; un graffietto al massimo, a bordo tetta. A confronto Toy Story sembra Non aprite quella porta. I Dialoghi: come ogni scult che si rispetti l’ignominia di un film è da quantificare in proporzione alla bassezza/ridondanza/illogicità dei suoi dialoghi. Per fare un esempio la vetta in questo settore è stata toccata da Paganini Horror. In Delirio di sangue di dialoghi ne sono stati scritti due, poi fotocopiati in ogni pagina del copione: 1) la metafora delle fiammelle che si uniscono (pronunciata sempre con le stesse parole) 2) una disquisizione trascendentale su l’altro te (“sono l’altro te quindi io sono te e tu sei me…”). Allucinante. Ripeto, ce l’ha messa tutta Sergione ma il trash non abita qui. Gordon Mitchell?? Lui sì che è di cattivo gusto. Voto: 5.
sabato 3 marzo 2012
Grazie Padre Pio (Amedeo Gianfratti, 2001)
Cast: Jo Donatello, Gigione, Cinzia Profita
Durata: 40’
Genere: Musical drama
Paese: Italia
Voto: 10
Napoli: il bello e dannato Jo Donatello deve pagare lo scotto del suo amore per una misteriosa femme fatale (la sobria Cinzia Profita) lavorando al soldo del mefistofelico boss Don Franco come pilota per corse clandestine. Il padre Gigione pur di strappare il figlio dalle maglie della malavita s’affiderà alla bontà di Padre Pio. Di fronte ad una gemma di tale lucentezza creativa avranno certamente da ricredersi gli svariati detrattori del genere, rei negli ultimi anni d’aver definito il musical all’italiana quale prodotto morto e sepolto. A scardinare ciò che sembrava un assioma a tenuta stagna giunge la premiata ditta Jo Donatello – Gigione in quello che risulta essere più di una semplice favola musicale. Grazie Padre Pio va proclamandosi come il non plus ultra del cinema tout-court. Qualsiasi sottogenere qui si dimostra parte integrante di un ginepraio visionario: commedia, dramma, action, horror, fantascienza (che una ragazza si innamori di Donatello dopo 3 minuti è fantascienza allo stato puro), noir ed epilogo in salsa fantasy. Ma non ci si ferma qui. Il regista imbottisce il film di messaggi al vetriolo verso un’Italia priva di uno Stato autoritario nell’ arginare il violento incedere della camorra, e si spinge oltre quando lancia frecciatine velate a situazioni di caratura internazionale: quel continuo elogio alla “gente che lotta per libertà” sa tanto di pepata allusione alla questione palestinese. Sullo sfondo una Napoli affascinante e nebulosa, chiaro alterego della protagonista Cinzia Profita (incantevole con quel filo di trucco), perfetta nel prestare corpo e talento ad una sirena di illusoria innocenza, cinica nel condurre il nostro Donatello in un viaggio agli inferi di sola andata. Ed è proprio l’eclettico Jo Donatello, simmetrica collusione tra la rinascimentale bellezza di Christopher Lambert e l’atteggiamento tormentato alla James Dean, a meritare il più nobile degli encomi. Attore sontuoso, cantante compassato, autore di musiche e testi, padrone dei tempi cinematografici, capace di sovrastare il ben più temprato Gigione (che da grande professionista si costruisce un ruolo da umile comprimario), insomma artista a tutto tondo. Ascoltarlo imbastire la summa degli inni all’amore è come avere un posto in prima fila nell’anticamera del Paradiso. “Quanto ti amo…ti amo…ti amo..quante emozioni…”. Chiudi gli occhi e sei ad un passo da Dio… Voto: 10.
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