martedì 25 gennaio 2011

Unthinkable (Gregor Jordan, 2010)



Cast: Michael Sheen, Carrie-Ann Moss, Samuel L. Jackson
Genere: Drammatico/Torture
Durata: 92’
Paese: Usa
Voto: 8

Unthinkable. Impensabile. Come è impensabile che questo film sia giunto direttamente in DVD. Anzi a vederlo appare ovvia tale scelta, un film con i controcazzi è destinato per natura a essere straight-to-homevideo. E Gregor Jordan è recidivo al meccanismo; uguale sorte gli capitò per The Informers (2008). L’America come tutto il mondo non accetta prodotti senza happy-ending, a cosa serve campare se non hai una speranza? A cosa serve il cinema se il “cattivo” trionfa? Ecco spiegate le bidonate sciovinistiche come Fuori Controllo o Giustizia Privata. Il plot di Unthinkable è essenziale: l’FBI cattura un americano filoislamico (Michael Sheen) reo di aver piazzato 3 bombe nucleari in altrettante città, e si affida di conseguenza a un veterano esperto nell’estorcere informazioni a qualsiasi prezzo. Lo script, che imbocca sin da subito la diritta via del torture-porn (falangi che saltano al primo interrogatorio), si adagia sulle performance brutalmente opposte di Michael Sheen e Samuel L. Jackson, autori di uno scontro psicologico (e fisicamente insostenibile) che soltanto la razionalità del personaggio interpretato da Carrie-Ann Moss riesce temporalmente a placare. Alla linearità della trama risponde un iter emotivo del tutto imprevedibile perché se all’inizio si patteggia per il terrorista, implorando una pietas e condannando i (non) principi etici dell’aguzzino, alla fine vorremmo ucciderlo con le nostre mani. E’ altresì vero che i metodi di tortura fanno rabbrividire, e pensare che si possa giungere all’uccisione della moglie e a un principio di violenza su dei bambini lascia perplessi, ma credo che ciò sia poco distante dalla realtà e da ciò che accade in prigioni come quella di Guantanamo. E anche il quesito sull’importanza di una vita al cospetto di un centinaio di potenziali vittime apre un dubbio epocale sulla necessità di interrogatori talmente dilanianti. Sin dove è giusto spingersi vien da chiedersi. Insomma un film senza se e senza ma, e soprattutto senza compromessi. Dopo tanta violenza ho altamente temuto per un finale palliativo; invece Jordan ha afferrato una manciata di palle, mandando a fanculo il politically correct, ed è andato sino in fondo con un colpo di coda di rara bellezza, risparmiandoci patetici epitaffi o scenari catastrofici. Complimenti. Voto: 8.

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