domenica 29 aprile 2012

Dream House (Jim Sheridan, 2011)


Cast: Daniel Craig, Rachel Weisz, Naomi Watts, Marton Csokas, Elias Koteas
Genere: Horror
Durata: 91’
Voto: 5
Will Atenton (Daniel Craig), noto editore e scrittore, abbandona il proprio lavoro per dedicare maggior tempo alla famiglia. Cogliendo la palla al balzo ne approfitta per cambiare casa e per sviluppare, in una tranquilla realtà periferica, l’idea di un nuovo romanzo. Purtroppo negli States, come il cinema insegna, una casa su due è infestata; senza scomodare il sempiterno cimitero indiano qui ci troviamo di fronte ad un altro leit-motiv del genere, ovvero l’abitazione-recentemente-teatro-di-uno-sterminio-familiare. In questo caso a macchiarsi di tale scempio è stato il padre, rilasciato in fretta e furia dal manicomio e ora, a quanto pare, a piede libero. Dopo strani avvenimenti che scaraventano nel terrore la moglie (Rachel Weisz) e le due figliolette, Will, ulteriormente insospettito dal misterioso atteggiamento dei vicini (Naomi Watts e Marton Csokas), opta per la più ossidata delle indagini personali avventurandosi nel vicino istituto psichiatrico, dove suo malgrado dovrà tirar fuori qualcosa in più di un semplice scheletro dall’armadio. Come avete ben intuito qui c’è un altro classico partorito dall’horror del terzo millennio: il twist che ti costringe a rileggere e reinterpretare ciò che hai visto fino a quel punto. Il vero colpo di scena è che suddetta rivelazione giunge a metà film!! AVVERTO: NON CI SARANNO SPOILER. Un aficionado del genere come me si è chiesto a cosa sarebbe andato in contro dato che alla mercé della trama c’erano altri 45 minuti. L’ansia di un disastro ha ricevuto i suoi palliativi quando il tank narrativo ha imboccato la strada del dramma psicologico restando coerente ad un’idea di narrazione introspettiva. Poi in men che non si dica la tragedia. A 10 minuti dal termine, quando i giochi sembravano fatti e gli scheletri erano lì per rientrare nell’armadio,  sbuca un contro-twist assurdo ed orrendo che sembra uscito da un thriller di serie C scritto appositamente per Nicolas Cage. Come vanificare un’idea carina, anche se inflazionata, con un semplice colpo di coda?? Chiedetelo a Jim Sheridan, lo stesso autore di capolavori come The Boxer e In nome del padre. Oppure rivolgete la domanda a Elias “prezzemolino ogni minestra” Koteas, che appena mette piede in un horror riesce a rovinarlo in modo irreversibile. Voto – 5.

giovedì 26 aprile 2012

Pontypool (Brue McDonald, 2008)

Cast: Stephen McHattie, Lisa Houle, Georgina Reilly, Hrant Alianiak Genere: Horror Durata: 94’ Paese: Canada Voto: 7 Alla stazione radiofonica CLCI della tranquilla cittadina di Pontypool giunge il conduttore Grant Mezzy, noto come personaggio alquanto sopra le righe, soprattutto per le equilibrate dinamiche della trasmissione mattutina di cui sarà maestro di cerimonie. Grant riesce ad adattarsi agli schemi, ma improvvisamente un virus incontrollato si diffonde in città causando assurdi episodi di violenza culminanti, sporadicamente, in crudi atti di cannibalismo. Per Grant, barricato nella stazione con un’assistente e la produttrice del programma, non sarà un giorno come tanti altri. Quasi per intero ambientato nella stazione di cui sopra, Pontypool è un piccolo gioiello di scrittura e inventiva, che nel decennio del torture porn dove l’orrore, e non il terrore, ci è letteralmente sbattuto in faccia risulta quale voce fuori dal coro e in quanto tale prodotto da tutelare con i denti. A tratti E venne il giorno, in altri frangenti La città verrà distrutta all’alba questo a differenza dei due scegli per un’ora di nasconderci l’horror prettamente visivo, precipitandoci in un angosciante caos, tra telefonate e interventi radiofonici difficili per lo spettatore da catalogare come veritieri o non. In questo McDonald omaggia esplicitamente l’impresa che compì Orson Welles quando, rileggendo La guerra dei mondi, gettò una nazione nello scompiglio annunciando un’imminente invasione aliena. Dopo un giro di lancette che fanno gridare al capolavoro l’opera del regista canadese perde qualche colpo trasformandosi in uno zombi movie per poi tornare nuovamente nei ranghi della dialettica quando c’è da tracciare l’epilogo, quest’ultimo forse troppo ambizioso. Pontypool resta comunque un film prezioso, che ancora una volta ci mostra (come il bellissimo Them) i punti chiave per una perfetta produzione low budget, ricordandoci quanto per il cinema sia importante il “come” e non il “cosa”, e sottolineando inoltre il potere (qui mefistofelico) del racconto, e del mezzo tramite il quale esso si manifesta: la parola. Voto: 7.

giovedì 12 aprile 2012

Cannibal Ferox (Umberto Lenzi, 1981)



Cast: John Morghen (Giovanni Lombardo Radice), Lorraine de Selle, Zora Kerowa, Bryan Redford (Danilo Mattei), Robert Kerman
Genere: Horror Amazzonico
Durata: 92’
Paese: Italia
Voto: 6.5

Gloria (Lorraine de Selle), ricercatrice ed antropologa newyorkese, sbarca in Amazzonia con Pat (Zora Kerowa) e il fidanzato fotografo (c’è sempre un fotografo in queste spedizioni) per dimostrare che il cannibalismo non è altro che “un alibi creato dal colonialismo razzista” e al fin di “avere un solido sostegno alla tesi di laurea”(se oggi le tesi di laurea fossero così…). Meanwhile nella Grande Mela la polizia è sulle tracce di due spacciatori, guidati dal furbo Mike (Giovanni Lombardo Radice), fuggiti proprio sul Rio delle Amazzoni e interessati, questi ultimi, ad un carico di smeraldi da poter trafugare ai danni delle tribù locali. Dopo 10 minuti dove i protagonisti brancolano nella foresta, sintetizzando cotanto smarrimento in un “non potevamo andare ad Acapulco invece di questo posto di merda?”, il trio guidato da Gloria si imbatte proprio in Mike (quante possibilità ci sono che due persone di New York si ritrovino in una landa dispersa della Colombia?). Il dannato spacciatore non tarda a palesare la sua indole menzognera millantando d’esser aggredito da un gruppo di indios cannibali, a cui è scampato per miracolo. Il fascino di suddette dichiarazioni finisce per abbindolare l’arraPata Pat che, senza batter ciglio ma battendo come una mignotta, si lascia coinvolgere da Mike in un gioco al massacro da perpetrare ai danni dei poveri indigeni. Tale atteggiamento sobilla le maestranze indios finendo per accendere una rivolta che verrà consumata a suon di antropofagia (e qui la tesi di laurea va tranquillamente a puttane, eppure alla fine…). Sono passati due anni dall’uscita di Cannibal Holocaust e Umberto Lenzi, abituato a ben altri generi, ha l’arduo compito di non far rimpiangere il capostipite. E ci riesce alla grande perché se il prodotto di Deodato aveva sì il pregio di inaugurare il mockumentary con 20 anni di anticipo, peccava vistosamente in ritmo e fluidità narrativa. Lenzi al contrario adopera la trama da pretesto per un film rapido ed incalzante. Le torture inoltre non mancano di fantasia: evirazioni, ganci nelle tette e scotennamenti con tanto di buffet da far invidia a Mr. Lecter. Purtroppo da segnalare le sadiche cattiverie (solite del genere) ai danni di poveri ed indifesi animali, da condannare a prescindere, in questo caso inutili, ostentate e gratuite, e soprattutto forzate quando mostrano “lotte” impari tra animali. Sicuramente un prodotto shock che, anche a causa di questi martiri sopraelencati, è stato negli anni rinnegato da tutti gli attori e in primis da Giovanni Lombardo Radice, vero e proprio one man show dell’intera operazione. Voto: 6.5.