domenica 16 settembre 2012

The Divide (Xavier Gens, 2011)




Cast: Michael Biehn
Genere: Horror
Durata: 121’
Paese: Canada, Usa, Germania
Voto: 6

Mentre New York è rasa al suolo da una catastrofe atomica, un drappello di inquilini di un condominio trova riparo nel rifugio costruito da Mickey, mitomane alquanto esaurito. Il rapporto tra conviventi non tarda ad incrinarsi, degenerando con l’irruzione di uno squadrone di decontaminazione che, privo di qualsiasi savoir affaire, preleva una bambina strappandola dalle braccia della madre; l’episodio scatena una sommossa all’interno del bunker che lascia stramazzati al suolo i tre agenti speciali. Di qui in poi il rapporto con il mondo esterno si interrompe (se non per una breve e irrilevante sortita) cedendo il campo all’evoluzione/involuzione delle dinamiche di gruppo. Le gerarchie, applicate alle leggi del darwinismo, vanno delineandosi in una sorta di ritorno al passato dove l’uomo riscopre i propri istinti primordiali a discapito del prossimo, riducendosi a pazzo troglodita. In quest’ambito Xavier Gens va a nozze nello sciorinare il proprio stile lercio e violento (alcuni momenti gratuiti sono rubati di netto dallo stile fracassone di Boyle), restando però vittima di uno spocchioso autocompiacimento quando esagera nel voler applicare la teoria dell’homo homini lupus sino allo stadio ultimo (vedi anche Frontiers). Nonostante The divide sfori nelle due ore la sensazione è quella di un progetto riuscito a metà, perché se in partenza Gens pare voglia affrontare lo sviluppo delle relazioni sociali in situazioni estreme lasciando una finestra aperta sul mondo esterno, dopo un po’ barrica quella finestra concentrandosi esclusivamente sul primo punto. Mentre all’interno del rifugio salta qualsivoglia schema etico noi spettatori siamo in attesa di sapere cosa stia accadendo lì fuori, un po’ come il bambino che desidera possedere l’unico giocattolo che non ha. La risposta, tra le macerie fumanti, giunge soltanto nel finale risultando frettolosa, forzata e tutt’altro che esaustiva; e il risultato sembra suonare un po’ come presa per il culo. Allora mi chiedo: perché optare ancora una volta per New York come metropoli al centro del disastro se tale scelta non ha alcun valore ai fini della narrazione??? Si poteva essere originali almeno in quello!! Voto: 6.

lunedì 10 settembre 2012

Intruders (Juan Carlos Fresnadillo, 2011)




Cast: Clive Owen, Clarice Von Houten, Daniel Bruhl, Ella Purnell
Genere: Horror
Durata: 103’
Paese: Spagna
Voto: 6.5

Spagna: in una notte da tregenda un mostro incappucciato irrompe nella stanza del piccolo e indifeso Juan con l’intenzione di rapirlo. Il bambino, al culmine di una fuga disperata, è tratto in salvo dalla mamma; poi all’improvviso si sveglia. Un sogno o forse no? Fatto sta che la madre, poco propensa nel qualificare come reali le fobie del figlio, trova aiuto nel giovane Padre Antonio. Inghilterra: l’operaio John Farrow e la figlia dodicenne Mia vivono un rapporto esemplare, al confine dell’empatia, fin quando la ragazzina scova nell’incavo di un albero una scatola di legno contenente un foglio sul quale è narrata la leggenda di Hollowface, uomo senza volto alla ricerca di connotati che possano donargli finalmente un’identità. Tale scoperta sembra risvegliare il mito di Hollowface, nel quale è destinato ad imbattersi proprio John Farrow. Va subito sottolineato che la sceneggiatura, scritta da Casariego e Marques, è tutt’altro che convenzionale: oltre ad un’interessante narrazione parallela, e l’automatico contrasto “ambientale” tra una realtà degradata ed una ben più agiata, il racconto non vive esclusivamente delle paure dei due pargoli, anzi affonda le proprie radici nel passato dei due genitori, qui non relegati a figure di contorno bravi esclusivamente nell’ignorare le richieste d’aiuto del figlio di turno, ma veri e propri personaggi chiave (dove la parte del leone spetta a Clive Owen) per la comprensione tout court dell’intera storia. Che ci sia qualche fantasma dal passato a rivendicare gloria è chiaro sin dall’inizio e i proseliti doc dell’horror saranno bravi nell’anticipare di una decina di minuti l’ovvio colpo di scena finale (passaggio oramai obbligatorio del genere). Se il twist appare affascinante, gettando nuova luce sul rapporto temporale delle due storie, il sottofinale è al contrario macchinoso e prolisso nel volerci forzatamente illustrare i passaggi visti in precedenza, (s)cadendo poi in una poetica da latte alle ginocchia. Onestamente dall’autore del cinico e bellissimo 28 settimane dopo mi aspettavo maggior cattiveria; a dire il vero di cattiveria ce n’è ma Fresnadillo si ferma un attimo prima di darci il colpo di grazia. Una forma dolce e romantica di compassione, che noi aficionados non possiamo affatto “compatire”. Voto. 6.5.

giovedì 14 giugno 2012

The Woman in black (James Witkins, 2011)


Cast: Daniel Radcliff, Ciaran Hinds, Janet McTeer, Liz Bianca)
Genere: Horror
Durata: 91’
Paese: Gb
Voto: 5.5
Tratto dall’omonimo romanzo di Susan Hill (pubblicato nel 1983), The Woman in black narra le vicissitudini del fanciullesco avvocato Arthur Kipps chiamato nel paesino di Eel Marsh per occuparsi di una fatiscente dimora appartenuta alla signora Drablow, scomparsa misteriosamente anni addietro, il cui fantasma, secondo gli abitanti del villaggio, è reo d’aver causato la morte di innocenti bambini. Per comprendere tout court la validità di un’operazione stantia già nelle premesse bisognerebbe aver letto il libro in quanto il film per 80 minuti abbondanti è l’abbecedario dell’immaginario gotico, cinematografico e letterario, per poi scegliere un finale da definire atipico se fedele al suo originale cartaceo, e da bollare come “debitore di un certo cinema orientale” se stravolto in fase di sceneggiatura. Come sottolineato il plot pullula di luoghi comuni vintage; c’è il locandiere scorbutico, l’ostruzionismo dei nativi, l’irruzione improvvisa di un corvo, la nebbiolina sulfurea e la classica sedia che dondola sospinta da chissà quale forza esoterica (insomma la targhetta Hammer Film Productions non è lì per caso). A volte i topoi del genere seppur scontati hanno un loro vincente ritorno se a “fronteggiarli” vi si piazza un personaggio di prepotente caratura emotiva. Purtroppo non è codesto il caso in questione, perché se da un lato la scelta di assoldare Daniel Radcliff risulta coraggiosa, dall’altro ti scappa un gridolino isterico se dopo 5 minuti lo vedi prima sulla stazione e poi in treno; mancano soltanto Ron ed Hermione e poi tutti in carrozza direzione Hogwarts. Al di là del ruolo da eterno Harry Potter che rischia di stroncargli la carriera il giovane attore inglese non sembra un fenomeno capace d’andare oltre una faccetta cianotica ed una chioma perennemente in ordine. Come Clint Eastwood anch’egli sembra portar in faretra soltanto due espressioni: una con la bacchetta e una senza. Insomma il compitino di Witkins scatena una buona dose di sbadigli (apparirebbe superato anche se proiettato negli anni ’40)  eppure quel finale buttato così qualche brivido lo crea; ma c’è da capire se è un onesta dichiarazione d’amore (paterno) o il consueto stratagemma del ventunesimo secolo. Voto: 5.5.



mercoledì 13 giugno 2012

The Innkeepers (Ti West, 2011)


Cast: Sara Paxton
Genere: Horror
Durata: 103’
Paese: Usa
Voto: 4.5
Tanto atteso come il primo K.O. della Juventus in campionato ecco giungere l’agognato passo falso di Ti West che, dopo il delizioso Cabin Fever 2 e l’essenziale The House of the Devil, sceglie di suicidarsi artisticamente smentendo chi aveva visto in lui la scintilla prometeica dell’originalità. Claire (Sara Paxton), assunta dall’amico Luke, è la nuova receptionist dello Yankee Pedlar, albergo i cui vanti sono il minor numero di clienti al mondo e la presenza del fantasma di Madeleine O’Malley, morta e seppellita in cantina, sulla cui leggenda Luke ha allestito un blog, ammaliante quanto il maestro Yoda, al fine di pubblicizzare il proprio hotel. Abbindolata dal mito della casa infestata Claire, per uccidere la noia che attanaglia lei e noi spettatori, si lancia in mirabolanti (dove mirabolanti sta per pallose) indagini personali. Dopo 85 minuti da eutanasia - neanche l’apparizione di un’attrice sensitiva riesce a rompere il tedio che scorre a fiotti - il regista getta nella mischia tutti gli elementi horror sino ad allora suggeriti dimenticandosi che al mondo esiste qualcosa che si chiama connessione logica; l’esito è semplicemente patetico. L’ironia tipica di Ti West non manca e qui trapela copiosamente nel ruolo da imberbe deficiente di Sara Paxton (per stupidità versione 1.1 di Paris Hilton) ma è lungi dall’essere quella grottesca ammirata in Cabin Fever 2. Di The House of the Devil West importa invece il sapore dell’attesa che qui resta semplicemente attesa, senza mai esplodere, e pertanto meschina in quanto scevra del suo fine ultimo. Film orrendo, che vorrebbe essere dark comedy e conservare i canoni base dell’horror,  non riuscendo a centrare nessuna dei due obiettivi. Insomma il regista americano aveva intenzione di prendere due piccioni con una fava ma, morale della favola, come si dice a Napoli ha perso Filippo e tutto il panaro. Voto: 4.5.

venerdì 4 maggio 2012

Rabies (Aharon Keshales, Navot Papushado, 2010)


Cast: Lior Ashkenaz, Danny Geva, Ania Bukstein, Menashe Noy, Ran Danker
Durata: 91’
Genere: Horror
Paese: Israele
Voto: 7
Quattro spiantati tennisti, diretti ad una partita tra amici, smarriscono la retta via all’interno di una riserva per volpi; come se non bastasse investono un uomo, malridotto già di suo, che sostiene di essere alla ricerca della fidanzata, reclusa da uno sociopatico vestito da meccanico. La tesi si mostra alquanto veritiera perché il millantato killer esiste, tanto da essersi repentinamente guadagnato le attenzioni belligeranti di un cacciatore con cane-lupo a seguito. Nel frattempo irrompono in scena 2 poliziotti, l’uno perverso molestatore l’altro inebetito da un rapporto sentimentale unilaterale, che contribuiscono nel far degenerare la situazione. Insomma è abbastanza complicato riassumere la trama, e non è un caso perché proprio su tale punto verte il progetto della coppia di registi. L’idea è quella di affrontare lo slasher movie abbandonando i soliti cliché da manuale, e per farlo Keshales e Papushado mettono sul piatto un’inarrestabile sequela di avvenimenti nefasti (molti del tutto casuali). Il risultato è un gustoso sovraccarico di passaggi narrativi scandagliati per alimentare la tensione (trappole per orsi, campi minati) o per tracciare un profilo emozionale (amicizie tradite, traumi infantili), con il fine ultimo di alimentare e giustificare la rabbia (dilagante) del titolo. Il vero colpo di genio è lo snaturamento del ruolo del killer che in qualsivoglia slasher fa da cardine al plot mentre qui veste i panni di un tassello del mosaico, tanto da scomparire quasi subito (riapparendo nel finale) per far spazio alla follia dei restanti coprotagonisti, tutti personaggi inizialmente con le rotelle a posto ma ben predisposti ad esplodere dinanzi al primo scossone psicologico. I registi israeliani centrano quindi il bersaglio, anche se è doveroso sottolineare la presenza di dialoghi inverosimili (vedi il finale: è mai possibile che una pallina di tennis possa ridurti in quello stato??) e una chiusura che nella sua straniante passività vorrebbe sembrare molto cool, senza esserlo neanche un po’. Ma ad avercene di film così, pronti a riallacciare quel rapporto col genere slasher oramai alla deriva, che per anni mi han fatto additare Jason come la causa di tutti i mali.   Voto: 7.      

domenica 29 aprile 2012

Dream House (Jim Sheridan, 2011)


Cast: Daniel Craig, Rachel Weisz, Naomi Watts, Marton Csokas, Elias Koteas
Genere: Horror
Durata: 91’
Voto: 5
Will Atenton (Daniel Craig), noto editore e scrittore, abbandona il proprio lavoro per dedicare maggior tempo alla famiglia. Cogliendo la palla al balzo ne approfitta per cambiare casa e per sviluppare, in una tranquilla realtà periferica, l’idea di un nuovo romanzo. Purtroppo negli States, come il cinema insegna, una casa su due è infestata; senza scomodare il sempiterno cimitero indiano qui ci troviamo di fronte ad un altro leit-motiv del genere, ovvero l’abitazione-recentemente-teatro-di-uno-sterminio-familiare. In questo caso a macchiarsi di tale scempio è stato il padre, rilasciato in fretta e furia dal manicomio e ora, a quanto pare, a piede libero. Dopo strani avvenimenti che scaraventano nel terrore la moglie (Rachel Weisz) e le due figliolette, Will, ulteriormente insospettito dal misterioso atteggiamento dei vicini (Naomi Watts e Marton Csokas), opta per la più ossidata delle indagini personali avventurandosi nel vicino istituto psichiatrico, dove suo malgrado dovrà tirar fuori qualcosa in più di un semplice scheletro dall’armadio. Come avete ben intuito qui c’è un altro classico partorito dall’horror del terzo millennio: il twist che ti costringe a rileggere e reinterpretare ciò che hai visto fino a quel punto. Il vero colpo di scena è che suddetta rivelazione giunge a metà film!! AVVERTO: NON CI SARANNO SPOILER. Un aficionado del genere come me si è chiesto a cosa sarebbe andato in contro dato che alla mercé della trama c’erano altri 45 minuti. L’ansia di un disastro ha ricevuto i suoi palliativi quando il tank narrativo ha imboccato la strada del dramma psicologico restando coerente ad un’idea di narrazione introspettiva. Poi in men che non si dica la tragedia. A 10 minuti dal termine, quando i giochi sembravano fatti e gli scheletri erano lì per rientrare nell’armadio,  sbuca un contro-twist assurdo ed orrendo che sembra uscito da un thriller di serie C scritto appositamente per Nicolas Cage. Come vanificare un’idea carina, anche se inflazionata, con un semplice colpo di coda?? Chiedetelo a Jim Sheridan, lo stesso autore di capolavori come The Boxer e In nome del padre. Oppure rivolgete la domanda a Elias “prezzemolino ogni minestra” Koteas, che appena mette piede in un horror riesce a rovinarlo in modo irreversibile. Voto – 5.