giovedì 15 dicembre 2011

The Human Centipede II: Full Sequence



Genere: Horror
Durata: 85’

Lo spunto è interessante: Martin, un essere squilibrato che a confronto il complessato Robertino di Ricomincio da tre è il massimo esponente della sanità mentale, è ossessionato dal film The Human Centipede che guarda e riguarda all’infinito. In vena di emulazione e (in quanto) custode di un garage sotterraneo, stordisce a suon di piede di porco innocenti vittime da segregare in un lurido e spartano capannone, dove portare a termine il sadico esperimento parzialmente fallito dal protagonista del primo capitolo (egli si era fermato ad un “dodicipede”). A seguito di un incipit metacinematografico davvero figo, il film - girato in un bianco e nero ma furbo – sprofonda nella sagra dell’insostenibile fine a sé stesso (non nell’accezione negativa del termine) dove a vincere quantitativamente non è il sangue ma la merda di cui i vagoni del centipede sono costretti a cibarsi pur di sopravvivere. Uno schifo da cesso di stazione suburbana. Eppure il vero senso di ribrezzo lo si prova alla visione dell’immondo protagonista, spesso con indosso uno striminzito slip nel tentativo di rendere (im)pudico un ammasso di carne geometricamente indefinibile. In sostanza è lui l’elemento nauseante dell’opera, ultima ruota del carro di una società che esclude a prescindere chi disturbato lo è veramente; nozione etica comunque troppo semplicistica per una trama esilissima e nettamente inferiore a quella sfornata dal suo predecessore. Raccapricciante sì, ma un bicchier d’acqua se paragonato a A serbian Film. Voto: 6.

giovedì 1 dicembre 2011

10 horror “invisibili” del 2010



Per chi ama il circuito dei film dispersi ecco una lista dei 10 prodotti horror più interessanti del 2010 ignorati dalla distribuzione italiana. Tutti ovviamente sottotitolati.

The Loved Ones: ecco le conseguenze del dare un palo alla ragazza più brutta della scuola (che in realtà non è affatto male!!). Avete mai visto inchiodare un pene alla sedia? Beh fortunatamente è una minaccia che rimane tale. Voto: 8.5.
Cabin Fever 2: da una fusione tra gore e pop nasce una nuova idea di cinema “horrorifico”. Teorema ben applicato di come si possa ridere e rabbrividire osservando la medesima immagine. Voto: 9.
Carriers: la paura del contagio ci trasforma in orribili bestie, nessuna pietà per i propri cari. Un 28 giorni dopo meno movimentato ma altrettanto cinico (direttamente in Dvd). Voto: 8.
Rammbock: dalla Germania 60 minuti amarcord per gli amanti dello zombie movie. Frizzante e genuino come pochi, con un colpo di coda romantico (!!). Voto: 9.
F: ragazzi incappucciati uccidono senza alcun nesso in una scuola americana. Atmosfere algide per un piccolo capolavoro di regia alla Them. Voto: 7.5.
Frozen: l’unico dei 10 uscito al cinema. Dopo Open Water e The Canyon il survivor horror s’arrampica su una sinistra seggiovia. Un freddo boia, altro che pelle d’oca. Voto: 7.5.
The Human Centipede: horror raccapricciante per sadici cinefili. Cosa accadrebbe se unissimo tre esseri umani per creare un simpatico millepiedi?? Voto: 8.
I Spit on your grave: il più classico dei revenge movie. Prima lo stupro poi la vendetta ma i metodi con i quali viene applicata quest’ultima sono più che affascinanti. Voto: 6.
A Serbian film: il film che ha sconvolto i festival di tutto il pianeta. Accusato di pedopornografia merita di essere visto per un semplice motivo: a confronto Saw e Hostel vi sembreranno dei film della Disney. Voto: qualsiasi voto comporterebbe una denuncia.
Bitter Feast: mai, dico mai, umiliare uno chef dinanzi a centinaia di spettatori. Come si sa la vendetta è un piatto che va servito freddo. Voto: 7.

giovedì 10 novembre 2011

Trespass (Joel Schumacher, 2011)



Cast: Nicolas Cage, Nicole Kidman, Liana Liberato
Durata: 90’
Genere: Sequesthriller
Paese: Usa
Voto: 4

Nel 2011 c’è qualcosa di peggio di un film con Nicolas Cage?? Beh si; un film con Nicolas Cage diretto da Joel Schumacher, si proprio lui, lo stesso tizio che prima dell’avvento di Nolan ha reso Bruce Wayne più anonimo e indigesto dell’altro Schumacher, quello un tempo vestito di rosso che oggi guida da pensionato su circuiti dai nomi impronunciabili. Non perdonerò mai a me stesso (“ma ero un giovane ingenuo” è la scusa che adopero) d’aver visto Batman Forever e Batman e Robin, un dittico capace in soli 240 minuti di macchiare la carriera di gente tipo Jim Carrey, George Clooney, Tommy Lee Jones e Uma Thurman, risparmiando il solo Val Kilmer perché Val Kilmer una carriera non ce l’ha. E Nicole Kidman?? Si è vero c’era Nicole Kidman in Batman Forever e Nicole Kidman è anche qui, perché non riuscirete a capacitarvene ma quell’essere che la chirurgia ha ridotto ad un mush mallow parlante è la stessa attrice di Cuori ribelli e Giorni contati, tanto per restare negli anni ’90 a.B. (Avanti Botox). Dopo aver denigrato un paio di curricula a caso (?) dovrei ora raccontarvi per sommi capi la trama. Potrei evitare perché essa risulta essere una copia carbone di Secuestrados ma il dovere professionale e la malcelata voglia di sparlare mi spingono a farlo: una famigliola benestante composta da padre ricco ma losco figuro, mamma facente corna e figlia stereotipata ribelle di sta cippa è tenuta sotto sequestro da una banda di inetti criminali alla ricerca di contanti. Il padre dice di non averli, potrebbe essere vero ma potrebbe anche essere un escamotage per salvare il culo, dubbio amletico utile per sfaldare la psiche dei sequestratori che in preda al panico e agli ormoni (uno dei malviventi è innamorato della Kidman) cominciano a ostacolarsi vicendevolmente. A parte il pestaggio ai danni di Nicolas Cage, che per ovvi e condivisibili motivi è il fiore all’occhiello di Trespass, la sceneggiatura si presenta quale mix dei peggiori 10 thriller della storia del cinema guatemalteco, e in più manca il consueto sforzo per il colpo di coda finale. Complimenti a chi ha scritto il film e ossequi a chi ha realizzato il casting; gli attori di contorno, ovvero quelli che popolano la banda di inetti, hanno dei volti che faticheresti a ricordare anche se fossero dei tuoi familiari. Quasi quasi verrebbe da ricredersi sulle doti di Nicolas Cage che a confronto dei comprimari sembra intenso quanto Jack Nicholson in Shining, ma non fatevi ingannare, Nicolas Cage (all’anagrafe Coppola) è semplicemente Nicolas Cage, mentre il vero attore è il suo parrucchino. Voto 4.

giovedì 27 ottobre 2011

The Loved Ones (Sean Byrne, 2010)



Cast: Xavier Samuel, Robin McLeavy
Genere: Horror
Durata: 85’
Paese: Australia
Voto: 8.5

Forse il miglior horror 2010. Suggeritomi dagli immensi “operai” di Nocturno, The Loved Ones è il perfetto incrocio tra la pazzia familiare di Non aprite quella porta e la repressione sessuale di Carrie – Lo sguardo di Satana, entrambi abbattutisi sul povero Brent, belloccio di turno sì ma del tutto in balia di un ineluttabile senso di colpa, ovvero l’aver causato la morte del padre. La sua vita da ignavo, tra l’amore della fidanzata e un incolmabile vuoto, sterza bruscamente quando il padre di una ragazzina sociopatica (a cui Brent ha negato un invito al ballo della scuola) decide di rapirlo. Sedato e vestito a festa, il giovanotto si risveglia nel bel mezzo di una cenetta presieduta proprio dall’allegra famigliola composta dalla ragazza, il padre e la madre lobotomizzata. Le sevizie, accompagnate dalle atmosfere patinate di un parallelo ballo di fine anno, si succedono tra chiodi fissati nei piedi e incisioni sulla pelle per culminare in una goffa trapanatura mirata a ridurre il ragazzo ad un vegetale, quest’ultima tesa a svelare un retroscena narrativo fondamentale per l’itinerario emotivo della vittima. Raccontato così può sembrare il classico torture porn che attinge spudoratamente dai classici anni 70 ma visto l’effetto non sa per nulla di deja-vù. Contribuiscono le prove impressionanti degli attori ma risultano determinanti le caratterizzazioni dei singoli passaggi: il rapporto incestuoso tra padre e figlia, la resurrezione psicologica di Brent e lo scontro finale sulla strada che chiude il cerchio in maniera geniale. Gustoso e terrificante, come non accadeva da tempo. Voto: 8.5.

domenica 9 ottobre 2011

Ho vissuto il mio medioevo ma ora sono rinato



A tu per tu con Domenico Melisi, il clown triste di Rewind
A cura di Tommaso Bassiena

Incontenibile simpatia, sorriso malizioso e una faccia da schiaffi su un corpo che ammicca ai prorompenti canoni lasciatici dall’antica Grecia. Tanti, troppi punti di contatto con il “maledetto” Robert Downey Jr., dallo stesso Melisi identificato come guru e modello da seguire, non fosse altro che ad accomunarli c’è un passato costellato da bravate e scelte etiche ai limiti del sopportabile: l’alcool, 27 giorni in una fetida cella di San Vittore e i continui via vai dai centri rehab di Ercolano. Ferite al tempo laceranti, oggi presentatesi quali vive cicatrici quando Domenico ci accoglie nella sua umile dimora stabiese; è in bermuda e ciabatte, sorriso straniante e un ciuffo insolitamente trasandato. Un fisico ancora impeccabile in linea con la recente parentesi da testimonial per Gaultier. S’affretta a nascondere una bottiglia di whisky quando ci lascia accomodare in cucina, è solo e sulla tv scorrono le immagini di un vecchio film di Totò, “L’avrò visto milioni di volte” ci tiene a sottolineare; un’affermazione estemporanea tesa a scoperchiare le sue celebri radici comiche, le stesse che nelle battute finali del XX° secolo gli hanno valso svariate partecipazioni a demenziali sitcom nostrane. Ed è per questo che ci spaventa il suo atteggiamento dimesso. Dov’è finita l’esplosiva verve ammirata in Natale al Circeo e Friends without benefits? Domande, paure, inquietanti preoccupazioni spazzate via in un attimo quando l’intervista comincia e il ragazzaccio dell’Annunziatella rispolvera un’ironia straripante. Un sospiro di sollievo sembra riecheggiare tra le pentole incrostate. “Bentornato Domenico” gli grido silenziosamente, che sia l’alba della riscossa.

Perché hai scelto di interpretare un ruolo fuori dalle tue corde?
Suppongo sia stato un bisogno fisiologico, nel senso che intrappolato in questa maschera di attore comico ho cominciato a pensare di non saper far altro e quindi ho ben pensato di mettermi in gioco ancora una volta dopo i miei trascorsi che tutti voi ben sapete... l'alcool, la droga e il famoso incidente con la torta sbriciolona.

Voci di corridoio ti vogliono quale grande estimatore del cinema espressionista tedesco...
Beh non è un mistero insomma, la mia stessa comicità pone le sue fondamenta tra i grandi classici tedeschi del '33 senza disdegnare le forme più pure di espressionismo... porto come esempio Cabinet des Dr. Caligari opera di pregevole fattura, fino a sforare nel cinema russo de La corazzata Potëmkin, film dal quale ho tratto ispirazione per questo mio ultimo lavoro.


Come è stato lavorare sul set in perfetta solitudine?
Ma vede io quando lavoro non sono mai solo, cerco di immaginare nella scena con me i gradi maestri del passato che come dei silenziosi ciceroni mi spingono a interpretare il ruolo nel modo più consono possibile. Questo porta certamente confusione tra me e i miei collaboratori non ultimo il regista che spesso e volentieri era costretto a partecipare a queste mie conversazioni immaginarie per decide come impostare la scena.

La scena della sparizione della bottiglia è stata girata ben 372 volte. Nell'era del digitale rinunciare agli effetti speciali è una scelta nobile e alquanto insolita...credi che tornare ad un'idea "classica" di cinema sia una mossa vincente?
Questo è un falso storico, io non sono mai stato contro l'effettistica, penso invece che l'uso pedissequo di questa tecnologia abbia col tempo assuefatto lo spettatore, che perde di vista la sinossi della scena e di conseguenza ha costretto gli sceneggiatori a depauperare le loro trame per meglio adattare le storie in favore della spettacolarità. In generale penso sia uno strumento delicato e che debba essere usato con parsimonia, quest'ultima opera usa piccoli effetti speciali per potenziare il significante della scena non per spettacolarizzarla...

Una performance cupa e angosciante. Si narra che dopo il termine delle riprese tu abbia sofferto di insonnia per più di una settimana...
Non posso negarlo (sorseggia una tisana, ndr) del resto sono notizie trapelate giorni fa direttamente dai miei medici i quali si trovano adesso a dover rispondere penalmente per questa mancanza di privacy. Detto questo posso giustificare la cosa solo ammettendo una mia particolare delicatezza; il film è per tutti e tutti possono emozionarsi senza incappare nelle mie problematiche, derivanti comunque dai miei problemi passati che forse la critica ha gentilmente omesso, problemi che mi hanno fruttato il nomignolo di "mesto arlecchino"
Quant'è difficile convivere con un produttore esigente come Umberto De Giuseppe?
Molto... è un rapporto a volte sfiancante, bisogna ogni giorno combattere con la pochezza delle sue idee e anche per il regista non è stato semplice adattarsi ai ristretti mezzi messi a disposizione dal De Giuseppe. Tuttavia la produzione non ne ha risentito molto, sono state fatte scelte cinematografiche che definire vintage sarebbe un futurismo...ma queste sono problematiche di cui parlare in altra sede ora risulterebbero sterili polemiche che abbruttiscono solamente l'evento dell'uscita della pellicola

Mai accreditato di un flirt, mai su un tabloid, mai in una trasmissione della D'Urso. E' vero che da quando hai abbracciato la Fede hai giurato eterna castità?
In realtà ho un rapporto conflittuale con la mia vita privata, cerco di tenere quanto più possibile segrete le mie cose... per rispondere più completamente ti dirò che ho abbracciato la fede sperando si concedesse almeno lei, così non è stato, sembra piuttosto che il genere femminile abbia fatto questa promessa nei miei confronti.
Ma mi resta la Speranza...vediamo se almeno lei me la dà.

Progetti futuri?
E’ presto per parlare del futuro, sono ancorato al presente più che mai, non nego di aspettare il giudizio della critica per vedere se è il caso di proseguire sulla falsariga del cinema serio e d'autore o tornare al primo amore e proseguire la mia professione di intrattenitore comico, in questa pausa forzata bevo molto fumo peggio e mangio come non ci fosse un domani, se la mia vita sregolata non mi accoppa prima mi rivedrete presto in qualche altra produzione.

martedì 12 aprile 2011

Piranha 3D (Alexandre Aja, 2010)



Cast: Steven McQueen, Elizabeth Shue, Ving Rhames, Christopher Lloyd, Richard Dreyfuss
Genere: Horror subacqueo
Durata: 90’
Paese: Usa
Voto: 7

Cosa ci fanno i sogni di milioni di teen-agers proiettati sul grande schermo?? Nessuno poteva immaginare che un bel dì un regista francese avrebbe dedicato un film allo spring break, la mitica festa di primavera made in Usa fatta di festini, contest di Miss maglietta bagnata, canne e orge siliconate. Il tutto approfittando di un titolo che rimanda a quei bastardi pescioni inventati da Joe Dante sulla scia dello squalo spielberghiano. Lo script non ha nulla da dire poggiando le proprie sorti su una batteria di personaggi tutti secondari; dalla poliziotta adrenalinica al regista hardcore passando per l’imbranato innamorato. Ma in fondo ad Aja non interessa la trama, basta infatti sottolineare la scusa (una scossa tellurica) adoperata per liberare i voracissimi piranha da un lago sotterraneo. Il baraccone va avanti per eccessi tra poppe al vento e sniffate di coca concedendosi inoltre due camei illustri: nell’incipit a rimetterci le penne è Richard Dreyfuss che pare dar vita alla sua versione pensionata del personaggio interpretato in Lo squalo mentre ancora più spassoso è l’intervento di Doc Christopher Lloyd impegnato nell’esplicare improbabili teorie tecniche che soltanto uno spensierato McFly avrebbe potuto comprendere a pieno. Messa su questi binari il film sembra un parziale disastro, sceneggiatura assente, attori ridotti a comparse e il solito trionfo di una gioventù fannullona. Invece è nei minuti finali che scopriamo il vero fine dell’intero progetto: una lunga scena che definire splatter sarebbe più che riduttivo. L’assalto dei Piranha (purtroppo più digitali del ricevitore terrestre) tra le acque di Lake Victoria è un massacro di raro effetto visivo. Smembramenti, arti strappati via e corpi ridotti letteralmente all’osso ci ricordano quale sia la differenza tra terrore e orrore. In più una sottile metafora: il gruppo dei piranha si dimostra molto più affiatato di quello dei giovanotti sballati che albergano a pelo d’acqua. Voto - 7

venerdì 11 febbraio 2011

La nostra vita (Daniele Lucchetti, 2010)



Cast: Elio Germano, Isabella Ragonese, Luca Zingaretti, Raoul Bova, Stefania Montorsi
Genere: Drammatico/Patetico
Durata: 95’
Paese: Italia/Francia
Voto: 5

Basterebbe la presenza ingombrante di Vasco dai primi minuti a sintetizzare l’essenza di un film che definire sopravvalutato sarebbe un enorme complimento. Tutto inizia tra le squallide impalcature di un cantiere romano dove il capomastro Claudio (Elio Germano) va barcamenandosi pur di portare avanti quella baracca che i dizionari di lingua italiana chiamano famiglia - una moglie incinta e due figli – e lo fa zittendo i propri principi etici che fanno capolino quando scopre il corpo di un guardiano rumeno, schiantatosi da altezza siderale e poi seppellito alla carlona. Denunciare o tacere?? La seconda perché se no addio lavori e sogni di gloria. Ma il destino beffardo ci mette lo zampino e l’improvvisa dipartita in sala parto della moglie (Isabella Ragonese) trasforma prima Claudio in un padre disposto a tutto pur di vedere i propri figli sorridere e poi il dissotterramento del rumeno in un’infida arma d’estorsione con la quale tenere il proprio datore di lavoro per le palle (reo di non aver denunciato la morte del guardiano), al fine di farsi consegnare il subappalto di una palazzina. Il ricatto va in porto eppure il contante scarseggia. No problem; ci pensa uno spacciatore disabile (Luca Zingaretti in una performance odiosa) che presta 50000 euro al nostro Claudio senza batter ciglio e soprattutto consapevole del pestaggio che gli costerà tale “versamento” (perché anche gli spacciatori hanno un cuore). Ovviamente i soldi non torneranno mai nelle tasche del Montalbano capellone e non entreranno neanche in quelle degli operai del cantiere che saranno fregati più volte dalle becere macchinazioni di Claudio, oramai inghiottito dai manti del lato oscuro. E no!! Un attimo. Questo tizio è tanto spietato che a confronto Tony Montana è il Mahatma Gandhi. Sarebbe troppo facile e insolito disegnare il ritratto di un uomo (italiano) così viscido senza piazzare una contropartita morale. Ed eccola arrivare nelle vesti di Andrei, un bamboccione di due metri, il cui padre GUARDACASO è proprio quel rumeno morto sciaguratamente e la cui madre GUARDACASO andrà a far compagnia al fratello sfigato di Claudio, ovvero un Raoul Bova nel suo primo ruolo da incapace con le donne dai tempi di Alien Vs Predator. E per una sceneggiatura che pratica l’espiazione tramite il denaro, Andrei risulterà l’unico degli operai ad esser onestamente pagato. Ora è inutile dirvi come va a finire sta’ manfrina perché tanto è sempre la famiglia a toglierti dai casini: “I tacchi sono un po’ come i parenti; sono scomodi ma aiutano” dice un’intrigante Stefania Montorsi. Ed è inutile dirvi che Anima Fragile di Vasco sarà come il prezzemolino, lì a rompere i coglioni anche al funerale della moglie quando Claudio la canterà a squarciagola ricordando al sottoscritto come sia possibile tanto odio nei riguardi di quel lercio “ruttAutore”. E invece mi vien da dire “meno male che c’è Elio Germano” attualmente il miglior attore italiano, regista di sé stesso (per fortuna) e vivo come nessun altro. Non è un caso il premio come miglior attore vinto a Cannes ex aequo con Javier Bardem, peccato sia giunto grazie a questo film. Alla faccia mia. Voto: 5.

sabato 5 febbraio 2011

Le cocenti delusioni del 2010



Robin Hood: tutti, dagli addetti ai lavori ai semplici spettatori, attendevano un clone de “Il Gladiatore”. I primi a mo’ di critica, i secondi con una speranza di bis nel cuore. Invece Robin Hood ha deluso entrambi. Come è possibile? Chiedetelo a Ridley Scott. Per una settimana il vero principe dei ladri è stato il cassiere del cinema.

L’ultimo dominatore dell’aria: qui Shyamalan è effettivamente indifendibile. Sarà che i suoi precedenti capolavori mi hanno ben viziato, ma l’unica domanda che riesco a porre ora è Perché???

Io, loro e Lara: qualcuno fermi Verdone. Non basta abbozzare una simpatica sceneggiatura per battere i proseliti di De Laurentiis. I suoi ultimi personaggi sono banali macchiette che al termine di un percorso per nulla veritiero hanno anche il coraggio di sfoggiare una morale.

Alice in Wonderland: i fan di Tim Burton amerebbero i suoi film anche se fossero incentrati sulle gesta di un caterpillar in calore. Chi ama il cinema tout court si è rotto invece le palle di vedere Johnny Depp ridotto a un ammasso di smorfiette e sorrisoni stranianti.


Shutter Island:
al di là di una performance stratosferica del maturo Di Caprio resta un film scritto a tavolino. Scorsese riduce l’horror a un artificioso meccanismo piazzando l’oramai logoro colpo di scena ribaltatore, ma l’invenzione figlia del “sesto senso” ha fatto già il suo tempo.

Somewhere (Sofia Coppola, 2010)



Cast: Stephen Dorff, Elle Fanning
Genere: Commedia
Durata: 97’
Paese: Usa
Voto: 7

Il cinema di Sofia Coppola lo si ama o lo si odia. I suoi film, senza una trama classica, ma ricchi di silenzi, sguardi, particolari, da anni fanno letteralmente scervellare i critici del globo cinematografico. Somewhere è l’ultima delle tappe di un astratto ma autobiografico percorso iniziato con Lost in Translation (escluderei Il giardino delle vergini suicide) e rincarato dal pop frivolo di Maria Antonietta. Ora sta a noi spettatori capire, percepire il senso di un modus operandi apparentemente vacuo che esclude a priori intrecci o colpi di scena, scegliendo di immergerci a fari spenti in un rapporto padre - figlia scandito da piccole intese e gesti delicati (mangiare il gelato sul letto o giocare insieme alla Wii) con una piccola intrusione nel nostro amato Stivale dove l’apparizione di Joker/Simona Ventura sottolinea quanto alla Coppola piaccia parlare della vita mondana di chi nei soldi ci sguazza con conseguente disorientamento morale (e ogni sua opera lo conferma). Al posto di Stephen Dorff potrebbe esserci stato chiunque perché la performance di un attore che interpreta sé stesso conta poco mentre una domanda nasce spontanea alla vista della piccola Elle Fanning (sorella di Dakota!!): come cazzo si fa a essere così bravi a quell’età?? E’ un film dove accade ben poco ma che non annoia, bensì approfitta del nulla per far riflettere. Un paradosso dettato da una furba trovata o dal desiderio di raccontare l’essere umano fuorviando il frastuono del cinema moderno? Ecco un’altra bella domanda. Voto: 7.

Da vedere con Stephen Dorff: Cuba Libre – La notte del giudizio (1993), Blade (1998), Nemico Pubblico (2009)
Da vedere con Elle Fanning: Babel (2006)

venerdì 28 gennaio 2011

127 ore (Danny Boyle, 2010)



Cast: James Franco
Uscita al cinema: 25/2/2011
Genere: Drammatico
Durata: 92’
Voto: 7.5

Tratto da una storia vera. 2003: l’escursionista Aaron Raltson nel corso di una visita solitaria al Grand Canyon (precisamente nel Blue John) resta bloccato in un crepaccio, con una mano sotto un enorme masso. Una borraccia d’acqua, una fune, un coltellino cinese (spuntato) e una videocamera, quest’ultima a filmare e testimoniare le 127 ore di infinita agonia che condurranno ad una drastica e inconfutabile scelta: l’amputazione del braccio. Ora se questo film lo avesse girato un regista alla Lasse Hallstrom i limiti del patetismo sarebbe stati oltrepassati senza alcun pudore, ma dato che il cineasta in questione risponde al nome di Danny Boyle (Trainspotting, 28 giorni dopo, The millionaire) gli spettatori possono tranquillamente accomodarsi in poltrona senza correre il rischio di incappare nel diabete. Come in tutti i suoi prodotti il regista britannico compie l’80% del suo lavoro in cabina di montaggio: illusioni, mondi onirici, split screen e una scena in rewind (trovata presente anche nel finale di The millionaire). Ma la vera sorpresa veste i panni del Tristano James Franco che, nonostante l’odio premeditato dei critici di mezzo mondo, si carica sulle spalle un’interpretazione per nulla semplice, ebbra di sofferenza e lucida follia (emblematica la scena della finta auto-intervista) evitando cadute nel baratro dell’overacting. Insomma 90 minuti di ottimo cinema claustrofobico dimenticando gli intrecci compiaciuti di Buried – Sepolto (2010), e con un messaggio bene in vista: quando dovete avventurarvi per un’escursione solitaria ricordate di lasciare un biglietto con su scritto dove cavolo siete andati!!! Voto: 7.5.

martedì 25 gennaio 2011

Unthinkable (Gregor Jordan, 2010)



Cast: Michael Sheen, Carrie-Ann Moss, Samuel L. Jackson
Genere: Drammatico/Torture
Durata: 92’
Paese: Usa
Voto: 8

Unthinkable. Impensabile. Come è impensabile che questo film sia giunto direttamente in DVD. Anzi a vederlo appare ovvia tale scelta, un film con i controcazzi è destinato per natura a essere straight-to-homevideo. E Gregor Jordan è recidivo al meccanismo; uguale sorte gli capitò per The Informers (2008). L’America come tutto il mondo non accetta prodotti senza happy-ending, a cosa serve campare se non hai una speranza? A cosa serve il cinema se il “cattivo” trionfa? Ecco spiegate le bidonate sciovinistiche come Fuori Controllo o Giustizia Privata. Il plot di Unthinkable è essenziale: l’FBI cattura un americano filoislamico (Michael Sheen) reo di aver piazzato 3 bombe nucleari in altrettante città, e si affida di conseguenza a un veterano esperto nell’estorcere informazioni a qualsiasi prezzo. Lo script, che imbocca sin da subito la diritta via del torture-porn (falangi che saltano al primo interrogatorio), si adagia sulle performance brutalmente opposte di Michael Sheen e Samuel L. Jackson, autori di uno scontro psicologico (e fisicamente insostenibile) che soltanto la razionalità del personaggio interpretato da Carrie-Ann Moss riesce temporalmente a placare. Alla linearità della trama risponde un iter emotivo del tutto imprevedibile perché se all’inizio si patteggia per il terrorista, implorando una pietas e condannando i (non) principi etici dell’aguzzino, alla fine vorremmo ucciderlo con le nostre mani. E’ altresì vero che i metodi di tortura fanno rabbrividire, e pensare che si possa giungere all’uccisione della moglie e a un principio di violenza su dei bambini lascia perplessi, ma credo che ciò sia poco distante dalla realtà e da ciò che accade in prigioni come quella di Guantanamo. E anche il quesito sull’importanza di una vita al cospetto di un centinaio di potenziali vittime apre un dubbio epocale sulla necessità di interrogatori talmente dilanianti. Sin dove è giusto spingersi vien da chiedersi. Insomma un film senza se e senza ma, e soprattutto senza compromessi. Dopo tanta violenza ho altamente temuto per un finale palliativo; invece Jordan ha afferrato una manciata di palle, mandando a fanculo il politically correct, ed è andato sino in fondo con un colpo di coda di rara bellezza, risparmiandoci patetici epitaffi o scenari catastrofici. Complimenti. Voto: 8.

venerdì 21 gennaio 2011

Skyline (Colin e Greg Strause, 2010)



Cast: Eric Balfour, Brittany Daniel, Scottie Thompson, Crystal Reed
Genere: Fantascienza
Durata: 93’
Paese: Usa
Musiche: Matthew Margeson
Voto: 6.5

Il remake di La Guerra dei mondi sembra aver riaperto la strada al genere fantacatastrofico, tanto caro al cinema anni 50. Lontani i tempi paciocconi di ET, l’invasione aliena assume nuovamente i suoi belligeranti connotati (il crocevia è senza dubbio l’11/9); con l’unica riserva eco-pacifista di Ultimatum alla terra, l’essere umano va spazzato via a prescindere, perché subdolo, stolto, inferiore. Lo hanno capito, seppure in ritardo, anche quei calamari ghettizzati di District 9. Skyline, come Cloverfield, segue l’idea radicale dello sterminio di massa, ma ove nel film ben pubblicizzato di J.J.Abrams a trionfare erano le contraddizioni dell’handycam movie (batterie sempre cariche, riprese improbabili), nell’opera dei fratelli Strause sussiste una linearità narrativa che, seppur banale, attira lo spettatore come le luci blu dei mostruosi alieni tentacolari. Los Angeles, come le altre capitali mondiali, è destinata a soccombere. Non fanno eccezione gli stoici protagonisti, barricati all’interno di un residence lussuosissimo e costretti a respingere a più riprese le incursioni di creature octopussiane, ibridi cibernetici tra genetica e meccanica. Uno di essi vive un “incontro ravvicinato” ritrovandosi per l’intero film con la cicatrice di quel persuasivo meeting luminoso. Il suo presunto processo trasformativo altera le speranze di sopravvivenza dei coprotagonisti, ribaltando un esito che appare scontato e che rimanda a un inevitabile sequel. Nel cielo intanto impazza la battaglia (a senso unico) tra le forze terrestri e le indomabili navicelle “insettoformi”, queste ultime distanti anni luce dagli staticissimi dischi volanti visti qui e lì da bifolchi millantatori. Per un andazzo fatalmente leopardiano spunta un finale portatore di speranze; se il genere umano è spacciato, ciò che non muore mai è l’amore, che esso sia tra umani, tra umani e alieni, tra alieni e alieni, tra umani e alieni-ex-umani…..Insomma evviva la promiscuità, l’importante è che ci sia del sentimento!! Voto: 6.5.

martedì 18 gennaio 2011

Inception (Christopher Nolan, 2010)



Cast: Leonardo Di Caprio, Marion Cotillard, Ellen Page, Joseph Gordon-Levitt, Cillian Murphy, Michael Caine.
Genere: Eh bella domanda!!
Durata: 140’
Musiche: Hans Zimmer
Paese: Usa/Gb
Voto: 6.5

L’accusa mossa da svariati critici alla freddezza con la quale Nolan tratta i suoi personaggi, al fine di privilegiare il complicato meccanismo narrativo, mi appare fuori luogo. E’ ovvio che il cineasta del rinato Batman sia prima di tutto un folle sceneggiatore (per forgiare una trama del genere ci vogliono anni!!) col pallino dei trucchi e dei congegni labirintici ma qui come (e soprattutto) in The Prestige l’andirivieni spazio-temporale è al servizio dell’introspezione psicologica del ladro di idee interpretato da Di Caprio. 2 ore e venti volano come rondini in primavera mentre la nostra mente cerca di capire cosa sia vero e cosa sia sogno, eppure la difficoltà nel riassumere una trama del genere non ha il suo corrispettivo sullo schermo. Nonostante il film sia distribuito su 5 livelli - di cui 4 onirici (o forse 5?) – il film fila liscio come l’olio anche grazie ad alcuni passaggi didascalici nei quali qualche attore di contorno ci spiega cosa stia accadendo o cosa accadrà se. Il finale (intendo l’ultimissima inquadratura) è un colpo di genio da pelle d’oca, dove la trottola ha – chissà - lo stesso valore simbolico dell’unicorno di Blade Runner? Quindi l’ultimo capolavoro di Nolan compie la sua missione: inchiodare alla poltrona lo spettatore di turno grazie anche a trovate visive da me personalmente mai viste prima. Ciò che non torna è la materia conduttrice del film. La dimensione onirica. Di cosa sono fatti i sogni?? Credo che le teorie celebrate da Nolan siano ben distanti, e fini soltanto alla spettacolarità del plot, da quelle che ogni essere umano ha sul mondo dei sogni. Cercare di inquadrare e regolamentare così rigidamente (parlando di proiezioni, globuli che si ribellano, paradossi) uno spazio infinito dominato dal nostro subconscio è impresa ardua destinata a fallire concettualmente. Se un tizio mi lancia un secchio d’acqua in faccia mentre dormo non vuol dire che nei miei sogni ci sarà un violento acquazzone!! Sbaglio o son desto?? Voto: 6.5.

Da vedere con Leonardo di Caprio: praticamente tutti i suoi film!!!
Da vedere con Marion Cottilard: La vie en rose (2007), Nemico Pubblico (2009)
Da vedere con Ellen Page: Juno (2007)
Da vedere con Cillian Murphy: 28 giorni dopo (2002), Batman begins (2005), Sunshine (2007)
Da vedere con Joseph Gordon-Levitt: 500 giorni insieme (2009)

venerdì 14 gennaio 2011

Hereafter (Clint Eastwood, 2010)



Cast: Matt Damon, Cécile de France, Bryce Dallas Howard, Thierry Neuvic, Frankie McLaren
Genere: Drammatico
Durata: 129’
Paese: Usa
Voto: 7

Vince ma di misura quest’ultimo Clint Eastwood. L’ispettore Callaghan si getta qui in una questione che va “al di là” della percezione umana e al di là dei temi da lui stesso adoperati. Siamo oltre l’eutanasia di Million Dollar Baby, la rabbia “paterna” di Gran Torino e l’eroica persistenza di Changeling (accomunati questi dal tema della morte). Siamo tra i fasci di luce dell’oltretomba nei quali si immerge letteralmente la giornalista francese Marie (Cécile de France), scampata miracolosamente allo Tsunami del 2004 (incipit stupendo e catastroficamente inedito per il cinema di Eastwood) e vittima di una visione che segnerà la sua vita, professionale e non, per sempre. Gli stessi fasci di luce verso i quali prova disperatamente ad avvicinarsi il piccolo Marcus (Frankie Mclaren), a cui il destino ha sottratto in maniera becera un amorevole gemello. 2 personaggi, il bambino e la giornalista, costretti a navigare nel limbo degli incompresi, in un mondo dove gli esseri “finiti” smettono di inseguire l’infinito perché la vita è un ginepraio di ambizioni veniali e animi depauperati. Il sensitivo George (Matt Damon) è invece oltre quella barricata, eppure il suo dono risulta, per sua stessa ammissione, una condanna. Ne capiamo il perché quando gli scheletri della bellissima Bryce Dallas Howard (mamma mia che occhi!!) escono prepotentemente dall’armadio stroncando sul nascere un tenero legame andatosi ad instaurare tra i banchi di un corso di cucina italiana. 3 solitudini destinate prima a incrociarsi, poi a sfiorarsi e infine a incontrarsi a Londra in un epilogo ove ognuno dei protagonisti trova la propria dimensione su questa terra. Un happy end senza risposte perché Clint sceglie saggiamente la strada del mistero (come fa il “mio” M. Night Shyamalan, ma a lui nulla è perdonato), lasciandoci soli col Domandone ancestrale, mentre sullo sfondo trionfa l’amore perché forse è esso l’unico strumento, la vera terra di mezzo, capace di innalzarci dalla nostra incompiutezza e per un attimo lasciarci assaggiare quei divini, incantevoli fasci di luce. Voto: 7.

Da vedere con Matt Damon: The Departed (2006), The Good Sheperd (2006), Invictus (2009)
Da vedere con Bryce Dallas Howard: The Village (2004), Terminator Salvation (2009)
Da vedere con Cecile de France: L’appartamento spagnolo (2002), Nemico pubblico N.1 – L’istinto di morte (2008)