sabato 11 febbraio 2012

La croce dalle sette pietre (Marco Antonio Andolfi, 1987)

Sarebbe fiero di noi Marco Antonio Andolfi nel sapere che 5 tizi in un posto non bene definito del pianeta Terra hanno scelto di visionare il vero, unico, grande capolavoro dell’horror italiano. Merito del nostro “Z-Movie Scout” che tempo addietro ci segnalò questa perla del firmamento cinematografico, conosciuta ai vari proseliti come La camorra contro l’uomo lupo, ma ufficialmente distribuita con il titolo più gotico di La croce delle sette pietre. Il film si apre guidandoci nei meandri di una danza orgiastica a tinte esoteriche dove il demone Aborym, conciato come il Cornelius de Il Pianeta delle scimmie, va accoppiandosi con sgualdrine accondiscendenti, il tutto coordinato da un master of cerimonies dal ghigno malefico. Poi l’azione si sposta a Napoli per presentarci il protagonista Marco (interpretato da Eddy Endolf, ovvero il regista sotto mentite spoglie), giunto nel capoluogo campano in visita ad una cugina che nemmeno si ricorda della sua esistenza, e dove dopo appena 200 metri dall’uscita della stazione Garibaldi due balordi gli scippano un prezioso amuleto: esso è una croce gemmata che ha il potere di impedire la trasformazione dell’uomo in un licantropo allo scoccar della mezzanotte. Marco è infatti il figlio di Aborym, ma sembra tutt’altro felice di esserlo. Dopo quest’incipit adrenalinico da crossover, dove torture-porn e cinema di denuncia si fondono per creare un originale modello di ispirazione per i posteri, Andolfi opta per una strada più pacata, scaraventando il protagonista nel baratro della criminalità organizzata alla ricerca dell’indispensabile talismano. Tra boss partenopei e mammasantissima siculo-americani (“fetuso son of bitch”) Marco, dopo aver intrapreso un viaggio nel suo cuore di tenebra e scoperto gli inevitabili benefici di una maledizione mannara (trasformatosi in uomo lupo sterminerà i suoi aguzzini), arriverà a Roma pur di recuperare il gioiello. Plot alquanto lineare nella seconda parte che risulterebbe scontato e tedioso se non fosse per le brillanti doti teatrali di Andolfi che, saggiamente sotto le righe seppur guascone in un paio di nudi frontali, s’affida a dialoghi dilatati oltremisura, interrotti qui e lì da smorfiette basite o sguardi tenebrosi. Attori di contorno tutti in parte, un plauso alle musiche mai ingombranti e standing ovation al sommo Adolfi che ha scelto di recitare in prima persona tutti gli stunt (da pelle d’oca il volo sul tavolino) senza mai cercare supporto in una banale controfigura. Nota di merito per la scena della trasformazione, che non ha nulla da invidiare a quella di Un lupo mannaro americano a Londra, culminante nell’uso di una lanuginosa maschera di raro realismo che farebbe rabbrividire in quanto a credibilità il King Kong di Rambaldi. Insomma un capolavoro per palati fini, da scovare, vedere ed ammirare. Al termine della proiezione, come il protagonista, vi chiederete sbalorditi: “Ma cosa mi è successo??”. Voto: 10.

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