martedì 14 febbraio 2012

Il Bosco 1 (Andrea Marfori, 1986)




Cast: Coralina Cataldi Massoni, Diego Ribon, Luciano Crovato, Elena Cantarone, Stefano Molinari

Genere: Horrortrash

Paese: Italia

Durata: 82’

Partito ufficialmente alle calende di febbraio il primo “Horror Trash Contest” in casa Masturzo: a lanciare la sfida ad Andolfi e al suo La croce delle sette pietre è Andrea Marfori, che dopo essersi accaparrato oltreoceano una steadycam a buon mercato, decide di portarla in Italia e usarla a cazzo girando contemporaneamente il suo debutto ed addio alle scene. Il Bosco 1 nasce come tributo all’horror La Casa (la steadycam non è casuale) e, visto l’assurdo titolo, anche come pretestuoso capostipite di una saga che purtroppo (ebbene sì, purtroppo!!) implode dopo appena un capitolo. Eppure di carne a cuocere ce n’è parecchia. L’incipit, di quelli impetuosi, ci conduce in un casolare dove una giovane donna – ammaliante come un opossum – prima seduce e poi evira un ragazzotto ignaro che tra le gambe della tipa risieda una mano demoniaca invece della più classica vagina. Poi l’azione (in senso lato) si sposta su una coppia in vacanza sulle Alpi; l’aitante Tony e la dinoccolata Cindy, che “l’impercettibile” accento ci suggerisce quale americana, sono di ritorno da Venezia e hanno intenzione di trascorrere un tranquillo soggiorno a base di pesca, relax e demenza puerile. Il paesino pronto ad ospitarli è tra i più desolanti dell’universo e inoltre detiene il record minimo di densità popolosa: 2 abitanti su svariati ettari di superficie. Se poi i 2 abitanti risultano l’uno, lo Stephen King dei poveri, l’altra, l’opossum demoniaco dell’incipit, allora il primato è ancor più singolare. Ma Tony e Cindy, fieri baluardi dell’ingenuità, s’affidano prima allo scrittore in erba, che nonostante sembri un incidente frontale tra James Bond e il Barone Rosso, sembra voglia metterli in allerta, poi alla donna dal naso aquilino che promette loro di condurli in un affascinante chalet. A questo punto Marfori compie il capolavoro, un colpo da biliardo destinato a proiettarlo nell’olimpo dei cineasti pluridecorati: l’horror, presentatoci irruentemente nella prima scena, scompare per cedere il passo ad un suggestivo documentario sul trekking di 35 minuti. Il regista, ricordandoci perennemente l’affarone della steadycam, ci lascia in compagnia dei protagonisti e ci invita ad accompagnarli all’estenuante ricerca del tanto decantato casolare. Una mezzoretta abbondante tra vialetti, foglie, rami e ancora vialetti, foglie e rami. Al calar delle tenebre la coppia, coadiuvata dall’opossum in calore, giunge a destinazione, ovvero una stalla fetida e umidiccia dove, suggellata la vera natura della terza incomoda, la trama scioglie i suo nodi narrativi. Dal nulla sbuca l’evirato della prima scena, che tramutatosi in un rapidissimo zombi, ha intenzione di trasformare il bosco (1, ovviamente) in un terreno di caccia. Ecco il delirio irrompere in una sceneggiatura sin qui lineare: chi impazzisce, chi si trasforma in un vampiro, chi s’improvvisa eroe rimettendoci le penne e chi fugge a zig zag. Tutto è ridondante, sopra le righe. I momenti cult vanno susseguendosi senza sosta. Lo zombi con un masso amputa di netto le mani al ragazzo che di lì in poi, per camuffare ai nostri occhi la mutilazione, gira per il bosco con dei polsi di mezzo metro. La fidanzata, evitando di chiedere lumi sull’accaduto, prova a cauterizzare le “ferite” con un po’ d’acqua (le testuali parole “Vado a prendere un po’ d’acqua fresca” fanno rabbrividire il “Ma quaggiù è buio” di Schettino). E non è ancora nulla se poi vediamo: 1) Tony, senza mani, che attende tranquillamente l’arrivo dell’acqua fresca 2) la fanciulla che costruisce con delle torce una roccaforte, espugnabile dall’ultimo arrivato 3) lo zombi che arpiona Cindy con una canna da pesca 4) la testa decapitata di Tony con in bella mostra l’etichetta della parrucca e 5) il gran finale con la sconfitta del mostro perpetrata col riflesso in uno specchietto. Da non sottovalutare il sottofinale che preannuncia un sequel che spero a distanza di 26 anni qualcuno si prenda la briga di girare. E’ un gran bel trash Il Bosco 1, che nonostante un budget considerevole, resta comunque una spanna sotto La croce delle sette pietre del maestro Andolfi. Non oso immaginare cosa sarebbe successo se ad acquistare quella steadycam fosse stato proprio Eddy Endolf!! Voto: 8

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