domenica 16 settembre 2012

The Divide (Xavier Gens, 2011)




Cast: Michael Biehn
Genere: Horror
Durata: 121’
Paese: Canada, Usa, Germania
Voto: 6

Mentre New York è rasa al suolo da una catastrofe atomica, un drappello di inquilini di un condominio trova riparo nel rifugio costruito da Mickey, mitomane alquanto esaurito. Il rapporto tra conviventi non tarda ad incrinarsi, degenerando con l’irruzione di uno squadrone di decontaminazione che, privo di qualsiasi savoir affaire, preleva una bambina strappandola dalle braccia della madre; l’episodio scatena una sommossa all’interno del bunker che lascia stramazzati al suolo i tre agenti speciali. Di qui in poi il rapporto con il mondo esterno si interrompe (se non per una breve e irrilevante sortita) cedendo il campo all’evoluzione/involuzione delle dinamiche di gruppo. Le gerarchie, applicate alle leggi del darwinismo, vanno delineandosi in una sorta di ritorno al passato dove l’uomo riscopre i propri istinti primordiali a discapito del prossimo, riducendosi a pazzo troglodita. In quest’ambito Xavier Gens va a nozze nello sciorinare il proprio stile lercio e violento (alcuni momenti gratuiti sono rubati di netto dallo stile fracassone di Boyle), restando però vittima di uno spocchioso autocompiacimento quando esagera nel voler applicare la teoria dell’homo homini lupus sino allo stadio ultimo (vedi anche Frontiers). Nonostante The divide sfori nelle due ore la sensazione è quella di un progetto riuscito a metà, perché se in partenza Gens pare voglia affrontare lo sviluppo delle relazioni sociali in situazioni estreme lasciando una finestra aperta sul mondo esterno, dopo un po’ barrica quella finestra concentrandosi esclusivamente sul primo punto. Mentre all’interno del rifugio salta qualsivoglia schema etico noi spettatori siamo in attesa di sapere cosa stia accadendo lì fuori, un po’ come il bambino che desidera possedere l’unico giocattolo che non ha. La risposta, tra le macerie fumanti, giunge soltanto nel finale risultando frettolosa, forzata e tutt’altro che esaustiva; e il risultato sembra suonare un po’ come presa per il culo. Allora mi chiedo: perché optare ancora una volta per New York come metropoli al centro del disastro se tale scelta non ha alcun valore ai fini della narrazione??? Si poteva essere originali almeno in quello!! Voto: 6.

lunedì 10 settembre 2012

Intruders (Juan Carlos Fresnadillo, 2011)




Cast: Clive Owen, Clarice Von Houten, Daniel Bruhl, Ella Purnell
Genere: Horror
Durata: 103’
Paese: Spagna
Voto: 6.5

Spagna: in una notte da tregenda un mostro incappucciato irrompe nella stanza del piccolo e indifeso Juan con l’intenzione di rapirlo. Il bambino, al culmine di una fuga disperata, è tratto in salvo dalla mamma; poi all’improvviso si sveglia. Un sogno o forse no? Fatto sta che la madre, poco propensa nel qualificare come reali le fobie del figlio, trova aiuto nel giovane Padre Antonio. Inghilterra: l’operaio John Farrow e la figlia dodicenne Mia vivono un rapporto esemplare, al confine dell’empatia, fin quando la ragazzina scova nell’incavo di un albero una scatola di legno contenente un foglio sul quale è narrata la leggenda di Hollowface, uomo senza volto alla ricerca di connotati che possano donargli finalmente un’identità. Tale scoperta sembra risvegliare il mito di Hollowface, nel quale è destinato ad imbattersi proprio John Farrow. Va subito sottolineato che la sceneggiatura, scritta da Casariego e Marques, è tutt’altro che convenzionale: oltre ad un’interessante narrazione parallela, e l’automatico contrasto “ambientale” tra una realtà degradata ed una ben più agiata, il racconto non vive esclusivamente delle paure dei due pargoli, anzi affonda le proprie radici nel passato dei due genitori, qui non relegati a figure di contorno bravi esclusivamente nell’ignorare le richieste d’aiuto del figlio di turno, ma veri e propri personaggi chiave (dove la parte del leone spetta a Clive Owen) per la comprensione tout court dell’intera storia. Che ci sia qualche fantasma dal passato a rivendicare gloria è chiaro sin dall’inizio e i proseliti doc dell’horror saranno bravi nell’anticipare di una decina di minuti l’ovvio colpo di scena finale (passaggio oramai obbligatorio del genere). Se il twist appare affascinante, gettando nuova luce sul rapporto temporale delle due storie, il sottofinale è al contrario macchinoso e prolisso nel volerci forzatamente illustrare i passaggi visti in precedenza, (s)cadendo poi in una poetica da latte alle ginocchia. Onestamente dall’autore del cinico e bellissimo 28 settimane dopo mi aspettavo maggior cattiveria; a dire il vero di cattiveria ce n’è ma Fresnadillo si ferma un attimo prima di darci il colpo di grazia. Una forma dolce e romantica di compassione, che noi aficionados non possiamo affatto “compatire”. Voto. 6.5.

giovedì 14 giugno 2012

The Woman in black (James Witkins, 2011)


Cast: Daniel Radcliff, Ciaran Hinds, Janet McTeer, Liz Bianca)
Genere: Horror
Durata: 91’
Paese: Gb
Voto: 5.5
Tratto dall’omonimo romanzo di Susan Hill (pubblicato nel 1983), The Woman in black narra le vicissitudini del fanciullesco avvocato Arthur Kipps chiamato nel paesino di Eel Marsh per occuparsi di una fatiscente dimora appartenuta alla signora Drablow, scomparsa misteriosamente anni addietro, il cui fantasma, secondo gli abitanti del villaggio, è reo d’aver causato la morte di innocenti bambini. Per comprendere tout court la validità di un’operazione stantia già nelle premesse bisognerebbe aver letto il libro in quanto il film per 80 minuti abbondanti è l’abbecedario dell’immaginario gotico, cinematografico e letterario, per poi scegliere un finale da definire atipico se fedele al suo originale cartaceo, e da bollare come “debitore di un certo cinema orientale” se stravolto in fase di sceneggiatura. Come sottolineato il plot pullula di luoghi comuni vintage; c’è il locandiere scorbutico, l’ostruzionismo dei nativi, l’irruzione improvvisa di un corvo, la nebbiolina sulfurea e la classica sedia che dondola sospinta da chissà quale forza esoterica (insomma la targhetta Hammer Film Productions non è lì per caso). A volte i topoi del genere seppur scontati hanno un loro vincente ritorno se a “fronteggiarli” vi si piazza un personaggio di prepotente caratura emotiva. Purtroppo non è codesto il caso in questione, perché se da un lato la scelta di assoldare Daniel Radcliff risulta coraggiosa, dall’altro ti scappa un gridolino isterico se dopo 5 minuti lo vedi prima sulla stazione e poi in treno; mancano soltanto Ron ed Hermione e poi tutti in carrozza direzione Hogwarts. Al di là del ruolo da eterno Harry Potter che rischia di stroncargli la carriera il giovane attore inglese non sembra un fenomeno capace d’andare oltre una faccetta cianotica ed una chioma perennemente in ordine. Come Clint Eastwood anch’egli sembra portar in faretra soltanto due espressioni: una con la bacchetta e una senza. Insomma il compitino di Witkins scatena una buona dose di sbadigli (apparirebbe superato anche se proiettato negli anni ’40)  eppure quel finale buttato così qualche brivido lo crea; ma c’è da capire se è un onesta dichiarazione d’amore (paterno) o il consueto stratagemma del ventunesimo secolo. Voto: 5.5.



mercoledì 13 giugno 2012

The Innkeepers (Ti West, 2011)


Cast: Sara Paxton
Genere: Horror
Durata: 103’
Paese: Usa
Voto: 4.5
Tanto atteso come il primo K.O. della Juventus in campionato ecco giungere l’agognato passo falso di Ti West che, dopo il delizioso Cabin Fever 2 e l’essenziale The House of the Devil, sceglie di suicidarsi artisticamente smentendo chi aveva visto in lui la scintilla prometeica dell’originalità. Claire (Sara Paxton), assunta dall’amico Luke, è la nuova receptionist dello Yankee Pedlar, albergo i cui vanti sono il minor numero di clienti al mondo e la presenza del fantasma di Madeleine O’Malley, morta e seppellita in cantina, sulla cui leggenda Luke ha allestito un blog, ammaliante quanto il maestro Yoda, al fine di pubblicizzare il proprio hotel. Abbindolata dal mito della casa infestata Claire, per uccidere la noia che attanaglia lei e noi spettatori, si lancia in mirabolanti (dove mirabolanti sta per pallose) indagini personali. Dopo 85 minuti da eutanasia - neanche l’apparizione di un’attrice sensitiva riesce a rompere il tedio che scorre a fiotti - il regista getta nella mischia tutti gli elementi horror sino ad allora suggeriti dimenticandosi che al mondo esiste qualcosa che si chiama connessione logica; l’esito è semplicemente patetico. L’ironia tipica di Ti West non manca e qui trapela copiosamente nel ruolo da imberbe deficiente di Sara Paxton (per stupidità versione 1.1 di Paris Hilton) ma è lungi dall’essere quella grottesca ammirata in Cabin Fever 2. Di The House of the Devil West importa invece il sapore dell’attesa che qui resta semplicemente attesa, senza mai esplodere, e pertanto meschina in quanto scevra del suo fine ultimo. Film orrendo, che vorrebbe essere dark comedy e conservare i canoni base dell’horror,  non riuscendo a centrare nessuna dei due obiettivi. Insomma il regista americano aveva intenzione di prendere due piccioni con una fava ma, morale della favola, come si dice a Napoli ha perso Filippo e tutto il panaro. Voto: 4.5.

venerdì 4 maggio 2012

Rabies (Aharon Keshales, Navot Papushado, 2010)


Cast: Lior Ashkenaz, Danny Geva, Ania Bukstein, Menashe Noy, Ran Danker
Durata: 91’
Genere: Horror
Paese: Israele
Voto: 7
Quattro spiantati tennisti, diretti ad una partita tra amici, smarriscono la retta via all’interno di una riserva per volpi; come se non bastasse investono un uomo, malridotto già di suo, che sostiene di essere alla ricerca della fidanzata, reclusa da uno sociopatico vestito da meccanico. La tesi si mostra alquanto veritiera perché il millantato killer esiste, tanto da essersi repentinamente guadagnato le attenzioni belligeranti di un cacciatore con cane-lupo a seguito. Nel frattempo irrompono in scena 2 poliziotti, l’uno perverso molestatore l’altro inebetito da un rapporto sentimentale unilaterale, che contribuiscono nel far degenerare la situazione. Insomma è abbastanza complicato riassumere la trama, e non è un caso perché proprio su tale punto verte il progetto della coppia di registi. L’idea è quella di affrontare lo slasher movie abbandonando i soliti cliché da manuale, e per farlo Keshales e Papushado mettono sul piatto un’inarrestabile sequela di avvenimenti nefasti (molti del tutto casuali). Il risultato è un gustoso sovraccarico di passaggi narrativi scandagliati per alimentare la tensione (trappole per orsi, campi minati) o per tracciare un profilo emozionale (amicizie tradite, traumi infantili), con il fine ultimo di alimentare e giustificare la rabbia (dilagante) del titolo. Il vero colpo di genio è lo snaturamento del ruolo del killer che in qualsivoglia slasher fa da cardine al plot mentre qui veste i panni di un tassello del mosaico, tanto da scomparire quasi subito (riapparendo nel finale) per far spazio alla follia dei restanti coprotagonisti, tutti personaggi inizialmente con le rotelle a posto ma ben predisposti ad esplodere dinanzi al primo scossone psicologico. I registi israeliani centrano quindi il bersaglio, anche se è doveroso sottolineare la presenza di dialoghi inverosimili (vedi il finale: è mai possibile che una pallina di tennis possa ridurti in quello stato??) e una chiusura che nella sua straniante passività vorrebbe sembrare molto cool, senza esserlo neanche un po’. Ma ad avercene di film così, pronti a riallacciare quel rapporto col genere slasher oramai alla deriva, che per anni mi han fatto additare Jason come la causa di tutti i mali.   Voto: 7.      

domenica 29 aprile 2012

Dream House (Jim Sheridan, 2011)


Cast: Daniel Craig, Rachel Weisz, Naomi Watts, Marton Csokas, Elias Koteas
Genere: Horror
Durata: 91’
Voto: 5
Will Atenton (Daniel Craig), noto editore e scrittore, abbandona il proprio lavoro per dedicare maggior tempo alla famiglia. Cogliendo la palla al balzo ne approfitta per cambiare casa e per sviluppare, in una tranquilla realtà periferica, l’idea di un nuovo romanzo. Purtroppo negli States, come il cinema insegna, una casa su due è infestata; senza scomodare il sempiterno cimitero indiano qui ci troviamo di fronte ad un altro leit-motiv del genere, ovvero l’abitazione-recentemente-teatro-di-uno-sterminio-familiare. In questo caso a macchiarsi di tale scempio è stato il padre, rilasciato in fretta e furia dal manicomio e ora, a quanto pare, a piede libero. Dopo strani avvenimenti che scaraventano nel terrore la moglie (Rachel Weisz) e le due figliolette, Will, ulteriormente insospettito dal misterioso atteggiamento dei vicini (Naomi Watts e Marton Csokas), opta per la più ossidata delle indagini personali avventurandosi nel vicino istituto psichiatrico, dove suo malgrado dovrà tirar fuori qualcosa in più di un semplice scheletro dall’armadio. Come avete ben intuito qui c’è un altro classico partorito dall’horror del terzo millennio: il twist che ti costringe a rileggere e reinterpretare ciò che hai visto fino a quel punto. Il vero colpo di scena è che suddetta rivelazione giunge a metà film!! AVVERTO: NON CI SARANNO SPOILER. Un aficionado del genere come me si è chiesto a cosa sarebbe andato in contro dato che alla mercé della trama c’erano altri 45 minuti. L’ansia di un disastro ha ricevuto i suoi palliativi quando il tank narrativo ha imboccato la strada del dramma psicologico restando coerente ad un’idea di narrazione introspettiva. Poi in men che non si dica la tragedia. A 10 minuti dal termine, quando i giochi sembravano fatti e gli scheletri erano lì per rientrare nell’armadio,  sbuca un contro-twist assurdo ed orrendo che sembra uscito da un thriller di serie C scritto appositamente per Nicolas Cage. Come vanificare un’idea carina, anche se inflazionata, con un semplice colpo di coda?? Chiedetelo a Jim Sheridan, lo stesso autore di capolavori come The Boxer e In nome del padre. Oppure rivolgete la domanda a Elias “prezzemolino ogni minestra” Koteas, che appena mette piede in un horror riesce a rovinarlo in modo irreversibile. Voto – 5.

giovedì 26 aprile 2012

Pontypool (Brue McDonald, 2008)

Cast: Stephen McHattie, Lisa Houle, Georgina Reilly, Hrant Alianiak Genere: Horror Durata: 94’ Paese: Canada Voto: 7 Alla stazione radiofonica CLCI della tranquilla cittadina di Pontypool giunge il conduttore Grant Mezzy, noto come personaggio alquanto sopra le righe, soprattutto per le equilibrate dinamiche della trasmissione mattutina di cui sarà maestro di cerimonie. Grant riesce ad adattarsi agli schemi, ma improvvisamente un virus incontrollato si diffonde in città causando assurdi episodi di violenza culminanti, sporadicamente, in crudi atti di cannibalismo. Per Grant, barricato nella stazione con un’assistente e la produttrice del programma, non sarà un giorno come tanti altri. Quasi per intero ambientato nella stazione di cui sopra, Pontypool è un piccolo gioiello di scrittura e inventiva, che nel decennio del torture porn dove l’orrore, e non il terrore, ci è letteralmente sbattuto in faccia risulta quale voce fuori dal coro e in quanto tale prodotto da tutelare con i denti. A tratti E venne il giorno, in altri frangenti La città verrà distrutta all’alba questo a differenza dei due scegli per un’ora di nasconderci l’horror prettamente visivo, precipitandoci in un angosciante caos, tra telefonate e interventi radiofonici difficili per lo spettatore da catalogare come veritieri o non. In questo McDonald omaggia esplicitamente l’impresa che compì Orson Welles quando, rileggendo La guerra dei mondi, gettò una nazione nello scompiglio annunciando un’imminente invasione aliena. Dopo un giro di lancette che fanno gridare al capolavoro l’opera del regista canadese perde qualche colpo trasformandosi in uno zombi movie per poi tornare nuovamente nei ranghi della dialettica quando c’è da tracciare l’epilogo, quest’ultimo forse troppo ambizioso. Pontypool resta comunque un film prezioso, che ancora una volta ci mostra (come il bellissimo Them) i punti chiave per una perfetta produzione low budget, ricordandoci quanto per il cinema sia importante il “come” e non il “cosa”, e sottolineando inoltre il potere (qui mefistofelico) del racconto, e del mezzo tramite il quale esso si manifesta: la parola. Voto: 7.

giovedì 12 aprile 2012

Cannibal Ferox (Umberto Lenzi, 1981)



Cast: John Morghen (Giovanni Lombardo Radice), Lorraine de Selle, Zora Kerowa, Bryan Redford (Danilo Mattei), Robert Kerman
Genere: Horror Amazzonico
Durata: 92’
Paese: Italia
Voto: 6.5

Gloria (Lorraine de Selle), ricercatrice ed antropologa newyorkese, sbarca in Amazzonia con Pat (Zora Kerowa) e il fidanzato fotografo (c’è sempre un fotografo in queste spedizioni) per dimostrare che il cannibalismo non è altro che “un alibi creato dal colonialismo razzista” e al fin di “avere un solido sostegno alla tesi di laurea”(se oggi le tesi di laurea fossero così…). Meanwhile nella Grande Mela la polizia è sulle tracce di due spacciatori, guidati dal furbo Mike (Giovanni Lombardo Radice), fuggiti proprio sul Rio delle Amazzoni e interessati, questi ultimi, ad un carico di smeraldi da poter trafugare ai danni delle tribù locali. Dopo 10 minuti dove i protagonisti brancolano nella foresta, sintetizzando cotanto smarrimento in un “non potevamo andare ad Acapulco invece di questo posto di merda?”, il trio guidato da Gloria si imbatte proprio in Mike (quante possibilità ci sono che due persone di New York si ritrovino in una landa dispersa della Colombia?). Il dannato spacciatore non tarda a palesare la sua indole menzognera millantando d’esser aggredito da un gruppo di indios cannibali, a cui è scampato per miracolo. Il fascino di suddette dichiarazioni finisce per abbindolare l’arraPata Pat che, senza batter ciglio ma battendo come una mignotta, si lascia coinvolgere da Mike in un gioco al massacro da perpetrare ai danni dei poveri indigeni. Tale atteggiamento sobilla le maestranze indios finendo per accendere una rivolta che verrà consumata a suon di antropofagia (e qui la tesi di laurea va tranquillamente a puttane, eppure alla fine…). Sono passati due anni dall’uscita di Cannibal Holocaust e Umberto Lenzi, abituato a ben altri generi, ha l’arduo compito di non far rimpiangere il capostipite. E ci riesce alla grande perché se il prodotto di Deodato aveva sì il pregio di inaugurare il mockumentary con 20 anni di anticipo, peccava vistosamente in ritmo e fluidità narrativa. Lenzi al contrario adopera la trama da pretesto per un film rapido ed incalzante. Le torture inoltre non mancano di fantasia: evirazioni, ganci nelle tette e scotennamenti con tanto di buffet da far invidia a Mr. Lecter. Purtroppo da segnalare le sadiche cattiverie (solite del genere) ai danni di poveri ed indifesi animali, da condannare a prescindere, in questo caso inutili, ostentate e gratuite, e soprattutto forzate quando mostrano “lotte” impari tra animali. Sicuramente un prodotto shock che, anche a causa di questi martiri sopraelencati, è stato negli anni rinnegato da tutti gli attori e in primis da Giovanni Lombardo Radice, vero e proprio one man show dell’intera operazione. Voto: 6.5.

domenica 18 marzo 2012

The Dead (Ford Brothers, 2010)



Cast: Rob Freeman, Principe David Osei
Genere: Horror
Durata: 104’
Paese: GB
Voto: 8

Quando l’horror zombesco migra in Africa regna sempre il timore di doversi sorbire tediosi approfondimenti sulle vere origini dei cosiddetti morti viventi (radici da trovare nello specifico ai Caraibi), tra riti attorno al fuoco e macumbe allucinate dettati da uno stregone fuligginoso. Che The Dead sia ben altro lo si capisce sin dal prologo, eroico nelle sue venature western, dove un uomo silenzioso “sfida” uno zombie dinoccolato. Il tutto tra le dune del deserto. Incipit niente male. Ok ora arriveranno le famose divagazioni sugli usi e costumi locali, penserete. E invece no; siamo sì in un villaggio, ma nel bel mezzo di un attacco, una vera e propria carneficina con decine e decine di zombi a dividersi un lauto banchetto. Ci è andata bene ma ora devono per forza di cose arrivare le celebri divagazioni attorno al falò, o almeno un discorsetto con un tizio che sottolinea quanto sia pericoloso per un occidentale addentrarsi nei meandri del voodoo. No, semplicemente no. Nella terza scena siamo su una spiaggia africana dove un ingegnere militare americano, miracolosamente scampato ad un disastro aereo, prova ad aprire una cassa contenente armi e viveri mentre svariati living dead sbranano il suo collega. 15 minuti adrenalinici che da soli valgono più di due stagioni di The Walking Dead. Il resto del film è un affascinante viaggio al fianco dei due alleati per caso (l’ingegnere militare di cui sopra e un soldato del posto) alla ricerca della salvezza, e dei propri cari (metaforicamente e non), dove il ritmo compassato non risulta mai noioso ma anzi in linea con quel passo lento e angosciante che soltanto gli zombi romeriani sanno trasmettere. I due registi conoscono a menadito la lezione del regista di Pittsburgh; basta notarlo nei tanti omaggi, ma soprattutto in quel voltarsi sornione degli zombi al rumore di uno sparo in lontananza. Da pelle d’oca semplicemente per un rimando sottile agli aficionados del genere. Eppure non c’è mai sensazione di già visto o tentata scopiazzatura. Sebbene si possano tirare in ballo i vari Lucio Fulci e Vincent Dawn/Bruno Mattei, The Dead conserva un suo ammaliante canovaccio supportato dalla più suggestiva e potente delle scenografie: la natura, a dimostrare che con fotografia ed inventiva non tutti abbiamo bisogno di un Dante Ferretti nello zaino. Epilogo portatore di speranza, anticipato da un momento quasi fumettistico che mi ha fatto temere il peggio. Voto: 8.

sabato 10 marzo 2012

Delirio di sangue (Sergio Bergonzelli, 1988)



Cast: John Philip Law, Gordon Mitchell, Brigitte Christensen, Olivia Link
Durata: 88’
Genere: Trash Pseudo Horror
Paese: Italia
Voto: 5

Ce l’ha messa tutta Sergio Bergonzelli per sfornare una mostruosità del genere ed accaparrarsi il titolo di leader maximo del trash tricolore. Apprezziamo lo sforzo ma Blood Delirium resta distante anni luce dai monumentali Il Bosco 1, La croce delle sette pietre e Paganini Horror. Eppure gli ingredienti per far bene sussistono. Analizziamoli partendo da quelli pro-trash. Trama: dopo la morte della moglie Christine, pianista “leggermente” ossessionata dal Delirium di Brahms, il pittore Saint Simon, definito nonsisaperchè l’erede ideale di Van Gogh, entra in uno stato confusionale che soltanto l’arrivo della dolce e masochista Sibille (guarda caso identica alla moglie, guarda caso pianista e guarda caso fissata per il Delirium) potrà spezzare. La giovane fanciulla senza pensarci più di tanto abbandona il pleonastico fidanzato per trasferirsi nella dimora del sofferente pittore che, nel frattempo, tentando di aiutare il depravato servitore Hermann nell’occultamento di un cadavere scopre il colore perfetto, ovviamente quello del sangue. Finale salvifico con visioni mistiche e consigli dallo spazio infinito. Sceneggiatura sostanzialmente delirante non soltanto nel titolo. Cast: nonostante John Philip Law si sforzi nel trasmetterci la follia del pittore maledetto che dipinge sferzando l’aere con tartaree pennellate, risultando detentore di un’incisività fisiognomica pari a quella dell’uomo di Cro-Magnon, c’è però chi riesce, come Gordon Mitchell, a fare di meglio (o peggio?). Sono suoi tutti i momenti trashissimi del film. Al di là degli 820 primi piani buttati qui e lì come messaggi subliminali (data la marmorea espressività potrebbe benissimo essere un refrain dello stesso ciak) regna il sospetto che il cachet di Mitchell sia da valutare in libido, in quanto trascorre il 90% del film palpeggiando tette o divaricando gambe, diciamo molestando delle donne in generale, vive o morte esse siano. Il restante 10% è un digrignar di denti, come ai bei tempi di Aborym. Erotismo(??): se la valuta horror scarseggia vistosamente Bergonzelli sembra aver trovato la sua raison d’etre nel pecoreccio più grossolano. Verrebbe da dire “il nudo abbonda sulla bocca di Mitchell” perché qui in quanto a zizza-time ce n’è per tutti i gusti, dai seni floridi a quelli burrosi passando per il celeberrimo pelo pubico. Elementi pedissequamente manipolati e sballottati dal Charlton Heston dei poveri. Elementi Contro-trash. Sangue: in un trash non può mancare l’effetto splatter, soprattutto se allestito con quattro soldi. Almeno uno di questi deve timbrare il cartellino: una testa di cartapesta con etichetta che esplode senza motivo (Il bosco 1), qualche atto di cannibalismo (Virus, e non fa niente che le scene erano rubate da un altro film) e una pietanza disgustosa a scelta (Troll 2). Nel Delirio di Bergonzelli di emoglobina non vi è alcuna traccia; un graffietto al massimo, a bordo tetta. A confronto Toy Story sembra Non aprite quella porta. I Dialoghi: come ogni scult che si rispetti l’ignominia di un film è da quantificare in proporzione alla bassezza/ridondanza/illogicità dei suoi dialoghi. Per fare un esempio la vetta in questo settore è stata toccata da Paganini Horror. In Delirio di sangue di dialoghi ne sono stati scritti due, poi fotocopiati in ogni pagina del copione: 1) la metafora delle fiammelle che si uniscono (pronunciata sempre con le stesse parole) 2) una disquisizione trascendentale su l’altro te (“sono l’altro te quindi io sono te e tu sei me…”). Allucinante. Ripeto, ce l’ha messa tutta Sergione ma il trash non abita qui. Gordon Mitchell?? Lui sì che è di cattivo gusto. Voto: 5.

sabato 3 marzo 2012

Grazie Padre Pio (Amedeo Gianfratti, 2001)



Cast: Jo Donatello, Gigione, Cinzia Profita
Durata: 40’
Genere: Musical drama
Paese: Italia
Voto: 10

Napoli: il bello e dannato Jo Donatello deve pagare lo scotto del suo amore per una misteriosa femme fatale (la sobria Cinzia Profita) lavorando al soldo del mefistofelico boss Don Franco come pilota per corse clandestine. Il padre Gigione pur di strappare il figlio dalle maglie della malavita s’affiderà alla bontà di Padre Pio. Di fronte ad una gemma di tale lucentezza creativa avranno certamente da ricredersi gli svariati detrattori del genere, rei negli ultimi anni d’aver definito il musical all’italiana quale prodotto morto e sepolto. A scardinare ciò che sembrava un assioma a tenuta stagna giunge la premiata ditta Jo Donatello – Gigione in quello che risulta essere più di una semplice favola musicale. Grazie Padre Pio va proclamandosi come il non plus ultra del cinema tout-court. Qualsiasi sottogenere qui si dimostra parte integrante di un ginepraio visionario: commedia, dramma, action, horror, fantascienza (che una ragazza si innamori di Donatello dopo 3 minuti è fantascienza allo stato puro), noir ed epilogo in salsa fantasy. Ma non ci si ferma qui. Il regista imbottisce il film di messaggi al vetriolo verso un’Italia priva di uno Stato autoritario nell’ arginare il violento incedere della camorra, e si spinge oltre quando lancia frecciatine velate a situazioni di caratura internazionale: quel continuo elogio alla “gente che lotta per libertà” sa tanto di pepata allusione alla questione palestinese. Sullo sfondo una Napoli affascinante e nebulosa, chiaro alterego della protagonista Cinzia Profita (incantevole con quel filo di trucco), perfetta nel prestare corpo e talento ad una sirena di illusoria innocenza, cinica nel condurre il nostro Donatello in un viaggio agli inferi di sola andata. Ed è proprio l’eclettico Jo Donatello, simmetrica collusione tra la rinascimentale bellezza di Christopher Lambert e l’atteggiamento tormentato alla James Dean, a meritare il più nobile degli encomi. Attore sontuoso, cantante compassato, autore di musiche e testi, padrone dei tempi cinematografici, capace di sovrastare il ben più temprato Gigione (che da grande professionista si costruisce un ruolo da umile comprimario), insomma artista a tutto tondo. Ascoltarlo imbastire la summa degli inni all’amore è come avere un posto in prima fila nell’anticamera del Paradiso. “Quanto ti amo…ti amo…ti amo..quante emozioni…”. Chiudi gli occhi e sei ad un passo da Dio… Voto: 10.

martedì 28 febbraio 2012

Virus - L’inferno dei morti viventi (Vincent Dawn, 1980)


Cast: Frank Garfield, Margit Evelyn Newton, Selen Karay, Robert O’Neil, Gaby Renom
Genere: Horror
Durata: 93’
Paese: Italia/Spagna
Voto: 8.5

Nuova Guinea: all’interno di una centrale atomica un ratto imbizzarrito morde un addetto ai lavori che, dimenandosi selvaggiamente, apre accidentalmente una valvola dalla quale fuoriesce gas tossico capace di trasformare i morti in esseri affamati di carne umana. In un attimo Pandora è assediata dagli zombi. Scusate intendevo la Nuova Guinea: i morti viventi colorati di blu traggono in inganno. Insomma chi ci salverà da questo cataclisma??? La risposta giunge puntuale nella scena successiva mostrandoci uno spietato corpo d’assalto impegnato nello strappare un gruppetto d’ostaggi dalle mani di imbranati terroristi. Tale blitz sanguinolento (sottolineato da omicidi gratuiti) è il biglietto dai visita dei quattro SWAT protagonisti del film: l’organizzatore dagli occhi di ghiaccio, il mistico, lo gnomo farsesco e l’inutile. Al quartetto vanno aggiungendosi una donna dalle trovate geniali ed un cameraman con la fissa per i primi piani. Il viaggio all’inferno è appena iniziato. Bruno Mattei, alias Vincent Dawn, è il regista d’emergenza degli anni ’80, perché capace di trarre il massimo con il minimo del budget, e non fa nulla che realizzi tali imprese con azioni ai limiti del decoro cinematografico ovvero scopiazzando, inserendo scene già viste (voli di fenicotteri e aironi a iosa) ed allungando il brodo con spezzoni presi da altri film (la parte centrale, secondo “Cripte e Incubi” è estrapolata per intero da Nuova Guinea, l’isola dei cannibali). Il suo stile è anarchico da qualsiasi angolazione lo si osservi; la planimetria narrativa non ha alcuna affinità con quelle di un racconto standard, i momenti ad alta tensione sono posizionati alla carlona (la maggior parte all’inizio) alterando qualsiasi virtuale linea emotiva. Inoltre Mattei si diverte (consapevolmente o non? mi chiedo) ad abusare di tanti stereotipi del genere e al contempo violarli quando adopera scelte inedite, vedi l’esagerato accanimento sul bambino zombi e il fantasioso messaggio finale. Che poi il film sia la versione frullata dello Zombi (1978) di Romero, dal quale ruba l’intera colonna sonora dei Goblin e svariati momenti narrativi - il raid dell’incipit, il caos creato dai media e gli stessi personaggi – è soltanto l’ultimo dei problemi. Un gran casino insomma, esacerbato dalle performance allucinate dei protagonisti; sugli scudi senza dubbio il tarantolato Santoro (Frank Garfield/Franco Garofalo) che, perdendo la trebisonda ogni 10 minuti, si lancia a capofitto tra gli zombi tentando di ammazzarli a suon di sboccati vituperi e elucubrazioni sul senso della vita. Altrettanto efficace ma nettamente più trash Margit Evelyn Newton che oltre a detenere un numero infinito di primi piani con urlo annesso, si rende autrice della più sensazionale scoperta antropologica del millennio, l’abbattimento delle barriere comunicative tramite l’uso del body language pittorico. Vederla correre con le tette ballonzolanti, dipinte come dei bersagli, è la seconda cosa più assurda che abbia mai visto. La prima? Uno zombi che sale al volo in auto abbassando la testa per non sbattere nella portiera. Fenomenale. Mi son chiesto come da solo Mattei abbia potuto creare tale divertente abominio, poi notando il Claudio Fragasso di Troll 2 quale assistente regista qualche dubbio è andato svanendo. Voto: 8.5

sabato 25 febbraio 2012

Trolls 2 (Claudio Fragasso, 1990)



Cast: Michael Stephenson, George Hardy, Margo Prey, Connie McFarland
Durata: 83’
Genere: Fantasy/Horror
Paese: Ita/Usa
Voto: 5.5

Quando dopo 2 secondi ho visto ruggire il leone della MGM ho temuto di trovarmi dinanzi a un cinema di qualità (non che la Metro-Goldwin abbia sfornato queste pietre miliari) e d’aver ovviamente sbagliato film, poi in fretta e furia il nome di Drake Floyd (obviously Fragasso in incognito) è giunto a tranquillizzarmi come un’amorevole balia: “Non avere paura fanciullo sono il trash che stavi cercando”. Sottolineando che Troll 2 nasce per sfruttare il successo (?) riscosso dal Trolls di John Carl Buechler e che l’ambientazione negli States, con cast tecnico e artistico made in Usa, è frutto della necessità dell’italiana Filmirage d’apparire più figa, il prodotto di Fragasso è il più classico degli horror a stampo fantasy. Al piccolo Josh il nonno defunto accorre in sogno come un oracolo narrando storie di folletti alquanto malefici (e qui parte una ricostruzione favolistica chiaramente debitrice della Biancaneve porno apparsa in passato su emittenti televisive di terza fascia) al fine di impedire in qualche modo l’imminente partenza della famigliola per la bucolica cittadina di Nilbog, il cui spelling esacerbato in mille modi vorrebbe farci notare che riletto al contrario potrebbe celare qualche nefasto significato. Ma oramai la frittata è fatta; Nilbog, N-I-L-B-O-G, 26 abitanti, è la madrepatria dei folletti di cui sopra. Neanche i tentativi disperati di Josh (tra cui una pisciata sul pranzo) scongiureranno la tragedia. Da dove iniziare per giudicare un’opera del genere?? Mi soffermerei prima di tutto sui protagonisti: esclusi gli attori di contorno, tra cui spiccano i sosia di Roberto Mancini e Kakà, il film verte sulle gracili spalle dell’acuto Josh (figlio di un frontale tra lo storico testimonial della Kinder e un missile Patriot) e su quelle più attempate del nonno che, invocato ogni 5 minuti dal pargolo, va umiliandosi apparendo negli specchi di casa sfoderando soluzioni talmente assurde da spacciare quelle del Batman di Adam West come idee assolutamente fattibili. Non tralascerei l’interpretazione mefistociofechica di Connie McFarland, nel ruolo della nemesi di Josh, il cui trucco da baldracca zombi affogata nel cerone credo sia il peggiore di sempre. Le chicche sono però da ricercare nel settore del make-up; le pietanze verdognole hanno un loro perché mentre i mascheroni dei goblin, a cura di Maurizio Trani, sono così obbrobriosi e posticci da far passare i rettiloni giapponesi come manifesti del neorealismo. In fondo di horror c’è ben poco ma a Troll 2 va il merito d’aver accalappiato schiere di fan oltreoceano. Se non mi credete cercate il documentario The Best Worst Movie, girato nel 2009 proprio da Michael Stephenson, che esamina i fattori che hanno contribuito a trasformare l’abominio di Fragasso in una pellicola di (s)culto. Che il film abbia lasciato delle indelebili tracce sulla psiche del piccolo Josh è abbastanza chiaro. Voto: 5.5.

martedì 21 febbraio 2012

Paganini Horror (Luigi Cozzi, 1988)



Cast: Jasmin Main, Daria Nicolodi, Pascal Persiano, Maria Cristina Mastrangeli, Luana Ravegnini, Donald Pleasence
Durata: 80’
Genere: Horror
Paese: Italia
Voto: 7 della scala Trash

Ebbene sì, non erano dicerie quelle che etichettavano Paganini Horror come uno dei trash imperdibili per i filospazzaturai del cinema italiano. Credevo non ci fosse più spazio nel gotha della filmografia tricolore accanto a capolavori come La croce dalle sette pietre e Il Bosco 1, invece un posticino di riguardo riesce (in)decorosamente a ritagliarselo questo film a dir poco raccapricciante. Una band rock all-women vive un periodo di crisi a causa di una forte carenza di idee - e soprattutto di talento - fin quando l’amico Daniel riesce ad accaparrarsi, con un accordo degno del Faust, uno spartito composto niente popò di meno che dal musicista Nicolò Paganini. Senza esitare il gruppo opta per una revisione del pezzo in chiave rock ambientando il video nella villa appartenuta proprio al celebre violinista, ma lo spirito di quest’ultimo, addobbato come il fantasma dell’opera alla corte del Re Sole, è pronto a mietere vittime. Credo nella buona fede del regista Cozzi (il suo filtro blu è come la steadycam per Marfori) che ha visto dilapidarsi il budget per il casting (anche se non si direbbe ma alcuni attori sono di calibro) e le scenografie, consistenti in un’accozzaglia di tende e manichini. Spesi tutti i soldini il produttore avrà poi scelto di rinunciare ad uno sceneggiatore dato che gran parte del film si basa su un andirivieni infinito tra l’esterno e l’interno della dimora. All’esterno con i protagonisti che invocano a gran voce amici che non faranno mai più ritorno: “Daaaaaaaaaaaaaaaaaaniellllllllllllllllllllll”, “Kaaaaaaaaaaaate”, “Daaaaaaaaanieeeeeeeeeeeeeel”, “Kaaaaaate” e mai domi “Proviamo a chiamarli di nuovo”, “Daaaaaaaaanieeeeeel”, “Kaaaaaaaaaate”. All’interno con momenti di rara beltà trash quando dinanzi ad amici in avanzato stato di putrefazione c’è chi sciorina una prognosi da Discovery Channel: “Questa muffa la conosco… è un fungo che cresceva soltanto nel ‘700, su alcuni tronchi del Nord Europa che servivano a produrre i violini più pregiati come gli Stradivari”. Madre de dios. E questa è soltanto una delle gemme rilasciateci da dialoghi mai sopra le righe (nooo mai), con disquisizioni su palesi alterazioni spaziotemporali e innumerevoli spiegoni a ribadire concetti compresi dopo la prima scena – come a dire “Spettatore hai capito cosa sta succedendo?? Perché te lo spiego di nuovo!!”. Lo spauracchio di Paganini che, colpito da un raggio di sole, si scioglie come un vampiro qualunque è un finale degno di questo capolavoro del non sense. Voto: 7

domenica 19 febbraio 2012

Quarantena 2: Terminal (John Progue, 2011)



Genere: Horror

Durata: 80’

Paese: USA

Voto: 5.5

Dopo l’algido copia e incolla del primo capitolo ai danni di REC tutti s’aspettavano un ovvio remake senza spessore del suo sequel e invece Quarantena II prende tutt’altra strada, discostandosi immediatamente dal prototipo iberico. Siamo su un aereo e, tra i pochi passeggeri presenti, un tizio viaggia in compagnia di alcuni criceti ecuadoregni che a sua insaputa (o forse no) sono portatori di un virus capace di trasformare l’essere umano in uno zombi rabbioso e dinamico; in verità più stile 28 giorni dopo che alla REC. Al regista non interessa il quadro psicologico dei personaggi - liquidato nei primi dieci minuti dove ognuno accenna al suo passato o ai progetti futuri in modo fastidiosamente didascalico – ma soltanto lo sviluppo horror/action della trama, che può dar finalmente fiato alle trombe quando un obeso sudaticcio, morso da uno dei criceti, inizia a sbavare e vomitare copiosamente finendo per aggredire i membri dell’equipaggio. L’aereo, dirottato suo malgrado verso un vicino aeroporto, “scarica” i suoi passeggeri in un gate dove poter raggiungere l’agognata salvezza. E invece no! Il gate è prontamente messo in quarantena perché nel frattempo il virus si è sparso in altre metropoli. Uscirne vivi sarà un’impresa. In questo film, dal taglio maledettamente televisivo, a salvarsi sono l’idea di ambientare il tutto in un aeroporto e il coraggio di fondo nell’affrontare un genere ricco di trappole, ma si pecca vistosamente nel creare la suspense (regia non pervenuta e colpi di scena bruciati da inquadrature matrimoniali) risultando, in più, irritante quando fa capolino quella furbizia sgamata nell’usare congegni narrativi già visti altrove. Da un lato si è tentati nel classificare Quarantena 2 quale prodotto dignitosamente di serie B, dall’altra si ha paura di etichettare come godibile un collage di luoghi comuni, tanto pieno di bava quanto purtroppo privo di sangue. Voto: 5.5.

giovedì 16 febbraio 2012

Hellraiser: revelations (Victor Garcia, 2011)




Genere: Horror

Durata: 75’

Paese: Usa

Voto: 4.5

Dal challenge delle saghe infinite sbuca il nono capitolo di Hellraiser, franchise inizialmente tra i più riusciti, ma indubbiamente nel tempo meno affascinante dei vari Nightmare o Venerdì 13. Chi ha voluto aggiungere un ultimo tassello alle vicissitudini del mefistofelico Pinhead risponde al nome di Victor Garcia. “Victor chi??” vi starete chiedendo. Beh a tale domanda neanche il sottoscritto ha saputo controbattere, ma pare che questo Garcia abbia passato la vita a creare esseri di gomma per la Filmax. Non è Wes Craven insomma (fortunatamente aggiungerei). A dargli manforte alla sceneggiatura c’è un tale Gary J. Tunnicliffe che a questo punto additerei quale autore di questo pasticciaccio, scagionando l’ignoto Garcia che se la cava sufficientemente. Infatti se nei primi 15 minuti la trama sembra avere le idee chiare mostrandoci i due scavezzacolli Nico e Steven fuggire in Messico in cerca di sballo, per renderci partecipi prima dell’uccisione di una prostituta e poi del risveglio di Pinhead a causa del consueto magic box, quando Steven torna a casa sotto shock, portando con sé il Male in persona, il plot s’accartoccia bruscamente. La storia a questo punto vorrebbe imboccare diverse strade narrative. Peccato che le imbocchi tutte contemporaneamente… e contromano; c’è un po’ di dramma familiare, con tanto di corna trasversali, un ragazzo che imbraccia un fucile tenendo sotto scacco i propri cari, che fa molto Bowling a Columbine, e infine udite udite c’è anche l’horror, racchiuso nelle poche apparizioni del povero Pinhead che ha la faccia di chi vorrebbe dirci “Ehy nel titolo c’è il mio nome, ve ne siete accorti???”. Per fortuna c’è un po’ di splatter nudo e crudo, per sfortuna si manifesta sempre allo stesso modo, ovvero sottoforma di uncini che squarciano le guance o il collo. Ma se a soffrire le pene dell’inferno sono degli attori credibili quanto un ristorante italiano a Pechino (tra tutti spiccano un pater familias monoespressivo e una donna che dall’alto dei suoi 30 anni dovrebbe interpretare la mamma di un venticinquenne) allora è tutto sangue che cola. Voto: 4.5.

martedì 14 febbraio 2012

Il Bosco 1 (Andrea Marfori, 1986)




Cast: Coralina Cataldi Massoni, Diego Ribon, Luciano Crovato, Elena Cantarone, Stefano Molinari

Genere: Horrortrash

Paese: Italia

Durata: 82’

Partito ufficialmente alle calende di febbraio il primo “Horror Trash Contest” in casa Masturzo: a lanciare la sfida ad Andolfi e al suo La croce delle sette pietre è Andrea Marfori, che dopo essersi accaparrato oltreoceano una steadycam a buon mercato, decide di portarla in Italia e usarla a cazzo girando contemporaneamente il suo debutto ed addio alle scene. Il Bosco 1 nasce come tributo all’horror La Casa (la steadycam non è casuale) e, visto l’assurdo titolo, anche come pretestuoso capostipite di una saga che purtroppo (ebbene sì, purtroppo!!) implode dopo appena un capitolo. Eppure di carne a cuocere ce n’è parecchia. L’incipit, di quelli impetuosi, ci conduce in un casolare dove una giovane donna – ammaliante come un opossum – prima seduce e poi evira un ragazzotto ignaro che tra le gambe della tipa risieda una mano demoniaca invece della più classica vagina. Poi l’azione (in senso lato) si sposta su una coppia in vacanza sulle Alpi; l’aitante Tony e la dinoccolata Cindy, che “l’impercettibile” accento ci suggerisce quale americana, sono di ritorno da Venezia e hanno intenzione di trascorrere un tranquillo soggiorno a base di pesca, relax e demenza puerile. Il paesino pronto ad ospitarli è tra i più desolanti dell’universo e inoltre detiene il record minimo di densità popolosa: 2 abitanti su svariati ettari di superficie. Se poi i 2 abitanti risultano l’uno, lo Stephen King dei poveri, l’altra, l’opossum demoniaco dell’incipit, allora il primato è ancor più singolare. Ma Tony e Cindy, fieri baluardi dell’ingenuità, s’affidano prima allo scrittore in erba, che nonostante sembri un incidente frontale tra James Bond e il Barone Rosso, sembra voglia metterli in allerta, poi alla donna dal naso aquilino che promette loro di condurli in un affascinante chalet. A questo punto Marfori compie il capolavoro, un colpo da biliardo destinato a proiettarlo nell’olimpo dei cineasti pluridecorati: l’horror, presentatoci irruentemente nella prima scena, scompare per cedere il passo ad un suggestivo documentario sul trekking di 35 minuti. Il regista, ricordandoci perennemente l’affarone della steadycam, ci lascia in compagnia dei protagonisti e ci invita ad accompagnarli all’estenuante ricerca del tanto decantato casolare. Una mezzoretta abbondante tra vialetti, foglie, rami e ancora vialetti, foglie e rami. Al calar delle tenebre la coppia, coadiuvata dall’opossum in calore, giunge a destinazione, ovvero una stalla fetida e umidiccia dove, suggellata la vera natura della terza incomoda, la trama scioglie i suo nodi narrativi. Dal nulla sbuca l’evirato della prima scena, che tramutatosi in un rapidissimo zombi, ha intenzione di trasformare il bosco (1, ovviamente) in un terreno di caccia. Ecco il delirio irrompere in una sceneggiatura sin qui lineare: chi impazzisce, chi si trasforma in un vampiro, chi s’improvvisa eroe rimettendoci le penne e chi fugge a zig zag. Tutto è ridondante, sopra le righe. I momenti cult vanno susseguendosi senza sosta. Lo zombi con un masso amputa di netto le mani al ragazzo che di lì in poi, per camuffare ai nostri occhi la mutilazione, gira per il bosco con dei polsi di mezzo metro. La fidanzata, evitando di chiedere lumi sull’accaduto, prova a cauterizzare le “ferite” con un po’ d’acqua (le testuali parole “Vado a prendere un po’ d’acqua fresca” fanno rabbrividire il “Ma quaggiù è buio” di Schettino). E non è ancora nulla se poi vediamo: 1) Tony, senza mani, che attende tranquillamente l’arrivo dell’acqua fresca 2) la fanciulla che costruisce con delle torce una roccaforte, espugnabile dall’ultimo arrivato 3) lo zombi che arpiona Cindy con una canna da pesca 4) la testa decapitata di Tony con in bella mostra l’etichetta della parrucca e 5) il gran finale con la sconfitta del mostro perpetrata col riflesso in uno specchietto. Da non sottovalutare il sottofinale che preannuncia un sequel che spero a distanza di 26 anni qualcuno si prenda la briga di girare. E’ un gran bel trash Il Bosco 1, che nonostante un budget considerevole, resta comunque una spanna sotto La croce delle sette pietre del maestro Andolfi. Non oso immaginare cosa sarebbe successo se ad acquistare quella steadycam fosse stato proprio Eddy Endolf!! Voto: 8

lunedì 13 febbraio 2012

Attenti a quei due




Intervista a Ciro Longobardi e Giovanni Masturzo, sceneggiatori di Rewind

1. Per lei è la prima esperienza nel settore. Qual è stato il suo approccio con la sceneggiatura di "Rewind"?

CL: in effetti, la difficoltà maggiore è stata rapportare un'idea ampia, quasi infinita, ad uno spazio ristretto. Fortunatamente l'apporto dato da tutti i collaboratori ha fatto sì che si potesse ricreare quell'atmosfera originariamente immaginata.

GM: in realtà sono alla mia seconda esperienza; 2 anni fa ho scritto la sceneggiatura di Avatar insieme ad un bambino di 6 anni e ad un ornitorinco italo-australiano.



2. E' stato facile elaborare uno script basandosi su un'idea tratta dall'idiozia di Umberto de Giuseppe?

CL: ma veda, il tutto si risolve nel prendere l'idea di Umberto e modificarne tutti gli aspetti per lui importanti. In pratica, se l'idea di Umberto è un cerchio, noi adottiamo il quadrato.

GM: Rewind si basa su un’idiozia di Umberto De Giuseppe??? Ma state scherzando? Io credevo fosse tratto da un romanzo di Philip K. Dick; questo è quanto mi è stato detto dalla produzione.



3. La scelta di ridurre i dialoghi all'osso è un omaggio al cinema muto?

CL: non direi (ride, ndr). Come già accennato, è stata una scelta ponderata, anche perché una persona sola in casa non sempre si prodiga in lunghi monologhi.

GM: concordo col mio collega, ma egli ben sa che tra le righe il nostro è un serafico tributo al cinema hardcore ed ai suoi script scarnificati. Inoltre una prima stesura prevedeva un cameo del mio caro amico Peter North che ha purtroppo dato forfait a causa di un impegno lavorativo a San Diego. Abbiamo quindi optato per Sebastiano Somma; mossa che si è rivelata alquanto acuta.



4. Scrivere in coppia ha agevolato la stesura del copione?

CL: direi di si. Anche se le battute in "Rewind" sono poche, sono fondamentali per creare quell'atmosfera incalzante che porta poi lo spettatore a scoprire la verità.

GM: Ciro è un sovrumano bacino di idee da cui attingere a piene mani. Ciò non toglieva fosse uno spasso contraddirlo senza remora alcuna: quando lui esponeva un concetto io ne proponevo un altro opposto nei contenuti, tale contrasto produceva una terza idea la quale si dimostrava repentinamente efficace. Sappiamo tutti che Ciro è un gran rompiscatole (Ciro si alza e gli spacca una sedia dietro la schiena, ndr).



5. Per la caratterizzazione del personaggio interpretato da Domenico Melisi da quale grande attore del passato avete tratto ispirazione?

CL: io reputo Domenico un attore nuovo, moderno, non legato a nessun grande attore del passato. Credo che la sua interpretazione sia frutto di una sua personale esperienza, vera, fatta di problemi quotidiani.

GM: beh non posso negare d’aver pensato al Bruce Willis di The Sixth Sense, ai suoi sguardi stranianti, a quella performance sotto le righe. Ma la camminatura da guascone e la voluta faccia da pirla sono palesi omaggi al mammasantissima del cinema contemporaneo Nicolas Cage.

6. Progetti futuri?

CL: mi piacerebbe continuare questa collaborazione con Giovanni, abbiamo già in cantiere qualche idea, abbiamo bisogno soltanto di svilupparla per bene. Non vorrei mai che per colpa della fretta di un secondo lavoro, lo stesso possa risentirne.

GM: 3 giorni orsono i vertici della Fox mi hanno contattato perché in cantiere c’è lo script di una nuova serie fantascientifica ambientata su Saturno, mi hanno offerto 20000 euro affinché io non partecipi al progetto. Per il resto continuerò a lavorare con il Longobardi, abbiamo svariate idee per il futuro, tutte appuntate sul nostro vetusto quadernone, quest’ultimo purtroppo volato via venerdì scorso a causa di un forte libeccio; il produttore De Giuseppe non ha stanziato la cifra necessaria per l’acquisto di un portatile, sostiene che il budget vada speso soltanto per il catering.